Il golpe “fallito” in Turchia e l’imbarazzo dei media italiani

Che farà il governo italiano se Washington e Bruxelles valutassero ritorsioni economiche nei confronti del regime di Erdogan?

Nicola
Nicola Novelli
20 luglio 2016 09:38
Il golpe “fallito” in Turchia e l’imbarazzo dei media italiani

Nei giorni seguiti al così detto “golpe fallito” molti amici su Facebook manifestano il proprio stupore per quanto accaduto. Una sorpresa dovuta alla scarsa presenza della politica estera dalle pagine dei giornali italiani. Chi è appena attento agli Esteri sa che da mesi le province curde vivono sotto il coprifuoco, quasi tutti i giorni a Istambul avevano luogo proteste di piazza e il paese veniva definito sull’orlo di una guerra civile.

Il disinteresse dei media italiani per i fatti turchi si manifesta ora in un approccio impacciato nel commentare quanto accaduto giovedì notte e prevedere il futuro. Ieri Il Sole 24 Ore, certo una delle testate più complete ed equilibrate, pubblicava a pagina 2 un’analisi di Alberto Negri in cui si legge: “dal fantasma di una dittatura militare si è passati a una dittatura elettorale della maggioranza, con un regolamento di conti così profondo ed esteso che cambia il volto e la posizione internazionale dello stato turco aprendo una crisi senza precedenti con Usa, Unione europea e Nato- e poi spiega- c’è una strategia da purga staliniana in questi arresti… una tendenza autoritaria già emersa con chiarezza ma contro la quale ben poco hanno fatto gli Usa e l’Europa”.

Poi però lo stesso quotidiano, due pagine più avanti, spiega che sul territorio turco sono presenti 1.300 aziende italiane con stabilimenti e rappresentanze commerciali, uno dei maggiori partner dell’interscambio italiano, per un controvalore di 10 miliardi di euro. In Turchia ci sono le maggiori espressioni industriali nazionali, alimentare, tessile, abbigliamento, meccanica, auto-motive.

E allora, sempre alla stessa pagina, un’altra analisi, stavolta a firma di Vittorio Da Rold, afferma: “Le imprese proiettate sui mercati globali si devono sempre più sentire sostenute da un sistema paese che le affianchi, monitori le emergenze, sappia allertare e proteggere dai pericoli e le volatilità in arrivo. Gli ultimi eventi internazionali e la loro ricaduta economica porteranno tensione sui mercati: non lasciamo soli i nostri imprenditori”.

In molti si domanderanno perché così tante imprese italiane abbiano scelto di investire in Turchia anziché de-localizzare i propri stabilimenti industriali in paesi a maggiore stabilità politica, come Bulgaria, Grecia, Polonia, Romania, ecc. La risposta è che si tratta di paesi UE, dove a fianco della stabilità geopolitica stanno anche maggiori costi del lavoro e del Welfare, almeno messi a paragone con il costo della vita in Turchia.

Ecco spiegato perché adesso che è esploso il rischio paese Turchia, Il Sole 24 Ore si domandi “che fare di fronte alla pericolosità della situazione e alla volatilità degli scenari economici”. Il timore è che se la crisi politica si inasprisca, Washington e Bruxelles possano valutare ritorsioni economiche nei confronti del regime di Erdogan, come accaduto alla Russia di Putin dopo la guerra con l’Ucraina.

Perché vale la pena ricordarcelo: che i paladini del capitalismo internazionale Usa, UK, o Francia sono in grado di sottomettere l’interesse economico privato a una politica estera coerente, mentre la Repubblica Italiana è debole nell’affermazione dei principi democratici all’estero, se questo contrasta gli interessi di imprenditori nazionali pronti a fare affari con qualunque stato canaglia, incuranti del rischio geopolitico conseguente.

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