Il futuro dell'agricoltura toscana: la cooperativa a filiera corta

Possiamo sopravvivere producendo e vendendo prodotti del territorio senza standardizzarci al modello europeo? Cosa hanno all'estero più di noi?

Antonio
Antonio Lenoci
16 novembre 2016 18:06
Il futuro dell'agricoltura toscana: la cooperativa a filiera corta

Durante la recente visita a Bruxelles da parte del Direttore di Nove da Firenze, Nicola Novelli, è emerso che un tema chiave della Politica Agricola Comunitaria è lo sviluppo delle organizzazioni di imprese agricole, ovvero le aggregazioni spontanee di singoli agricoltori, in forma di cooperative e consorzi che nel 2014 hanno totalizzato un fatturato di 25 miliardi di euro con frutta e vegetali, rappresentando il 50% del mercato continentale, ricevendo circa 700 milioni di contributi all’anno dalle istituzioni UE.

Nell’UE a 28 membri le organizzazioni di produttori sono oltre 1.600, i consorzi di organizzazioni oltre 60.In Belgio il 50% del mercato interno è controllato da una cooperativa agricola delle Fiandre, la centenaria BelOrta, che con le sue oltre 2.000 imprese socie e 360 dipendenti diretti, riesce a fatturare 460 milioni di euro all’anno con la produzione di 120 varietà di ortaggi e 30 di frutta. Facile con questi numeri garantire ai consumatori standard di qualità, sostenibilità e tracciabilità di ogni singola cassetta di frutta e verdura e garantire al mercato l’efficienza dei prezzi grazie ad un sistema di contrattazione digitale per stock, che è una vera e propria borsa merci.In Italia funzionerebbe? La definizione di qualità standardizzate, è spesso oggetto di scherno nel dibattito politico italiano, consente però la vendita dei prodotti delle singole aziende, senza pretendere che sia il consumatore a comprare sul posto.

Solo la dimensione di scala può permettere il co-finanziamento di progetti di ricerca e innovazione in campo agricolo, sia pur sostenuti anche da risorse pubbliche. Le piccole imprese, da sole, come potrebbero fare?

Per approfondire l'argomento abbiamo chiesto aiuto a Carlo Pinferi direttore della Cooperativa Legnaia, una vera istituzione toscana nata ad inizio del 1900."Oggi la Cooperativa conta 500 soci dal Trentino alla Sicilia ed abbiamo a regime un programma di produzione che consente di prelevare tutta o solo parte della produzione della piccola azienda per poi venderla nei nostri punti vendita".Un circolo virtuoso? "Virtuoso e chiuso".Ma davanti ad un sistema cooperativo centenario, oggi, qual è il maggior problema: produrre oppure vendere? "Oggi per fortuna non ci sono problemi di vendita, questo lo dobbiamo alla crescita della coscienza alimentare dei consumatori che si sono evoluti nella scelta e vanno alla ricerca di prodotti che offrano più garanzia e certezza, sulla provenienza e non solo.

Senza dubbio il vero problema di oggi è la produzione, poiché è sempre più difficile trovare agricoltori che permettano di produrre quantità di prodotto, specie ortofrutticolo che presenta problematiche maggiori soprattutto a Firenze e zone limitrofe dove molto semplicemente c'è meno terra coltivata".Filiera corta è un termine che unisce i consumatori ma divide gli addetti ai lavori, perché? "Perché viene utilizzato in modo fuorviante. Con filiera corta si intende anche il prodotto a Km Zero e questo crea confusione.

Per noi la filiera corta significa che tra il consumatore ed il produttore non ci devono essere intermediari. Nel nostro caso i produttori sono i soci che conferiscono alla cooperativa il prodotto da vendere. Questo però significa che abbiamo una filiera di 300 metri se il campo coltivato è quello della stessa Cooperativa di Legnaia e ci sono pochi metri ad arrivare al banco, ma sempre filiera corta è anche il prodotto che arriva dalla Sicilia percorrendo 800 km di strada".L'esperienza europea che smista enorme quantità di merce pone il problema delle rimanenze.

"Da noi il problema non sussiste, non adesso almeno. In questo momento storico la richiesta è addirittura superiore alla produzione e senza aiuti dall'esterno questo è anche il futuro a breve termine".Il modello europeo nuoce al nostro mercato? "Semplicemente non è applicabile in Italia, ma neppure su produzioni grandi o intensive. Il modello europeo spazza via l'economia agricola nostrana. A meno che non mettiamo in piedi mega-investimenti, supportati dallo Stato come hanno fatto i governi di Belgio ed Olanda dove i prodotti sembrano quelli di una catena di montaggio.

Ma così non incontriamo più le peculiari richieste italiane". Sarebbero? "In una parola? Il sapore. Un pomodoro olandese è colorato bene, ben dimensionato, ma non è il pomodoro campano o siciliano. Non ha il gusto delle nostre varietà ed è su quel gusto che giochiamo oggi la nostra competitività sui mercati internazionali".Avete maturato una ricetta per l'Agricoltura locale? "Un paio di anni fa, per scelta, e questo è oggi il nostro vanto, siamo andati controtendenza rispetto al passato ed abbiamo pensato di riproporre il prodotto nell'imballo di legno affinché qualificasse meglio il prodotto rendendo noto il produttore.

Il riscontro è molto buono rispetto ai prodotti imballati all'estero e questo ci permette di poter remunerare bene i produttori".Eccoci al prezzo. Chi lo decide? "Lo decide sempre l'andamento del mercato, ma se noi coltivassimo secondo le nostre possibilità ed immettessimo sul mercato secondo un valore fissato dal mercato europeo non avremmo soldi per i produttori. La politica della cooperativa è quella di puntare sulla qualità salvaguardando l'agricoltore".Numeri? "Abbiamo una remunerazione tra il 20-30% superiore rispetto alle varietà di prodotti che provengono dal nord Europa dove i contributi statali favoriscono appositamente alcune produzioni.

A differenza di Belgio o Olanda noi manteniamo la nostra identità, mentre loro hanno coltivazioni create in laboratorio. Non dimentichiamoci che noi siamo stati fornitori di sementi per loro".Dopo oltre 100 anni di attività vi preoccupa il ricambio generazionale? "Si tratta di un tasto sensibile. Purtroppo alcune famiglie non riescono a far sopravvivere l'attività, altre reagiscono diversamente, ma anche se con difficoltà stiamo iniziando a vedere qualcosa che ci piace e ci offre speranza: nascono nuove aziende create da giovani agricoltori e da giovani che agricoltori non sono ma hanno interesse a diventarlo e per questo chiedono di entrare in cooperativa".

Cooperativa significa anche formazione? "Assolutamente si. Offriamo supporto agronomico, tecnico e la conoscenza e la disponibilità di strumenti e mezzi tecnici ai nostri soci affinché possano entrare nei programmi di produzione e contribuire con le loro forniture alla vendita al consumatore e di conseguenza al loro sostentamento".

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