I misteri dell'alchimia negli studi del marchese Palombara

Presentato al Gabinetto Vieusseux, La Porta Magica di Roma, l'ultima fatica letteraria del Professor Mino Gabriele, studioso della cultura alchemica europea. Edito da Leo Olschki, il volume è inserito nella collana Archivium Romanicum.

15 gennaio 2016 22:25
I misteri dell'alchimia negli studi del marchese Palombara

FIRENZE - Si è soliti associare la Roma del Seicento al nero chiesastico della Controriforma, all’avidità di Cardinali e inquisitori mossi dalla sete di potere, per i quali il terrore religioso è soltanto un mezzo per conservare il dominio delle anime, e quindi i loro privilegi. A fianco di questa Roma barocca, falsamente ricoperta d’oro e di marmo, ne è esistita un’altra, minoritaria ma non per questo indegna di nota, ovvero la Roma esoterica legata agli studi della scienza alchemica, nell’impossibile tentativo di trovare la pietra filosofale, l’elisir di lunga vita, e più ancora, un’ipotetica saldatura fra l’uomo e Dio, la Terra e il Cielo.

Tante furono le figure impegnate in questi appassionanti e misteriosi studi, fra le quali spicca quella del marchese Massimiliano Palombara (1614-1685), di cui il Professor Mino Gabriele traccia un accurato ritratto nel libro La Porta Magica di Roma, simbolo dell’alchimia occidentale, edito per i tipi fiorentini di Olschki.

Un libro dal taglio romanzesco, che unisce con garbo storia e costume, e che coinvolge il lettore nell’appassionante e secolare cammino dell’alchimia, alla ricerca della mitica pietra filosofale. Roma è lo splendido scenario delle ricerche del marchese, esponente di una frangia di nobiltà papalina di facciata, in realtà poco in sintonia con la Controriforma e la sua severità morale, il suo fasto e la sua opulenza. La figura del marchese alchimista è il deus ex machina del romanzo, a lui infatti si deve l’ideazione della Porta Magica, che dopo tre secoli ancora non smette di incuriosire e affascinare con la sua esoterica geometria.

Il marchese Palombara, fu un nobile scettico, disilluso, malinconico - sorta di antesignano del gattopardesco principe Fabrizio Salina -, che negli studi alchemici non cercava soltanto di alleviare la propria sete di conoscenza, bensì cercava anche scampo da quel tedium vitae che ha accompagnato più di uno spirito eletto. Ne dà misura il suo La Bugia, un curioso manoscritto che coniuga scienza, poesia, elementi biografici e di osservazione sociale, e nel quale il marchese scrisse come “di questi tempi, per trovare un uomo, non basterebbero mille lanterne di Diogene”.

Discepolo di Cristina di Svezia, e assiduo frequentatore di quel cenacolo a metà fra il poetico, lo scientifico e il letterario che attorno a lei si era riunito, Palombara era particolarmente interessato alle ricerche sulla trasmutazione aurea, ovvero alla pietra filosofale. La Porta Magica venne fatta erigere nel 1680, nei giardini della villa sull’Esquilino, posseduta dal marchese, giardini che differivano da quelli delle altre ville, non essendo creati soltanto per svago e diletto, bensì per proseguire quegli studi alchemici che tanto affascinavano Palombara.

Prendendo la mosse da questa straordinaria avventura, l’autore tratteggia le figure principali che animavano questo consesso di studiosi, figura quali Athanasius Kircher, un gesuita che aveva una concezione pansofica dell’alchimia, coniugandovi astrologia, metallurgia, magia, musicologia, metafisica; Francesco Giuseppe Borri, nobile milanese, formatosi a Roma nel Collegio Romano, dove fu allievo di Kircher, e passò alla storia nella doppia veste di scienziato e ciarlatano; Francesco Maria Santinelli, fondatore dell’Accademia dei Disinvolti; e Federico Gualdi, un misterioso avventuriero tedesco, mercante di minerali e alchimista.

Attraverso le loro figure, l’autore traccia lo sfondo sul quale operò Palombara, fornendo al lettore interessanti notazioni sul clima in cui si svolgevano questi particolari studi, e la febbre di conoscenza di questi inusuali personaggi. Di Palombara, ce ne fornisce uno splendido ritratto, indagandone le pulsioni dell’animo, insistendo su quell’ “humor melanconico” che era quasi un segno dei tempi, o comunque l’inevitabile condizione di chi, come il marchese, anelava a un qualcosa di più elevato della corte papalina.

Il volume entra nel vivo con l’analisi della Bugia, della quale si citano le possibili fonti d’ispirazione, e con il suo inquadramento nell’ambito della tradizione colta dei geroglifici del XVII Secolo, ovvero dei simboli alchemici. Sotto il simbolo della bugia, ovvero dello strumento che “tiene il lume”, come scrisse egli stesso, Palombara volle raccogliere pensieri e poesie alchemiche. E alchemica è la valenza della bugia, intesa come luce sofianica che illumina e avvicina tutte le scienze.

Alla luce di questi studi, si comprende l’importanza della Porta Magica, della quale l’autore sviscera il significato: un passaggio attraverso il quale si entra nel giardino alchemico, un passaggio che non a tutti è concesso varcare, se non se ne comprendono i simboli che lo adornano. Il bell’apparato iconografico che impreziosisce il volume, permette di apprezzare al meglio le esoteriche geometrie che decorano la severa pietra, e che uniscono religione e scienza, laddove, ad esempio, i quattro evangelisti sono paragonati ai quattro elementi, e Mercurio è una sorta di Cristo in nome del quale poter manipolare questi stessi elementi, per trovare così la mitica pietra filosofale.

La Porta è un passaggio simbolico, certo, ma decifrabile soltanto dopo appositi studi, che non tutti avevano la possibilità di compiere. Il bel volume di Mino Gabriele traccia con appassionato rigore e puntualità delle fonti, un ramo della cultura antica che nei secoli ha visto studiosi, avventurieri, nobili e plebei, all’inseguimento di un mito, di un’utopia scientifica che probabilmente, nel Seicento, celava anche l’anelito a un mondo più razionale e più giusto.

Niccolò Lucarelli

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