Gabriele D’Annunzio, Vate e patriota d’Italia

La figura dell’intellettuale e patriota, ricostruita in una mostra organizzata dallo Stato Maggiore dell’Esercito in occasione del centenario della Grande Guerra. La mostra è visitabile al Museo Storico della Fanteria in Piazza Santa Croce in Gerusalemme 9, fino al 30 settembre 2015. Dal lunedì al sabato, 9-13 e 15,30-19. Ingresso libero.

05 luglio 2015 14:18
Gabriele D’Annunzio, Vate e patriota d’Italia
Gabriele D'Annunzio assieme agli aviatori Gori, Pagliano e Pratesi, davanti a un Caproni Ca 3

ROMA - La guerra dell’Italia, senza Gabriele D’Annunzio non sarebbe stata la stessa. Al di là delle scelte tattiche e strategiche effettuate da Cadorna prima e Diaz poi, sulle quali si basava la conduzione della guerra, è innegabile che la figura del Vate-soldato abbia esercitato un immenso fascino sulle truppe al fronte, nonché sull’opinione pubblica nazionale, una figura capace di scaldare gli animi all’interventismo, attraverso un’oratoria magniloquente ma intellettualmente raffinata, ostica forse nel significato più profondo, ma d’indubbio fascino anche per un uditorio meno colto.

Una figura, quella di D’Annunzio, che merita di essere riscoperta nelle sue vesti di militare e patriota, e farvi luce contribuisce la bella e significativa mostra organizzata dall’Ufficio Storico dello Stato Maggiore, che espone una vasta selezione di documenti scritti da D’Annunzio e suoi oggetti personali militari, provenienti dalla collezione permanente del Vittoriale degli Italiani. La mostra si propone di ricostruire da un punto di vista strettamente storico, il ruolo che il vate svolse prima, durante e dopo la Grande Guerra, dimostrando un solido spirito patriottico, di cui più tardi si è appropriata anche la politica. Ed è questa circostanza che ancora oggi,di fatto, getta una luce poco benevola sull’operato del Vate.

La mostra organizzata dallo Stato Maggiore dell’Esercito, dal titolo sobrio ma emblematico di D’Annunzio Soldato, si pone lo scopo di far riscoprire agli italiani che la visiteranno, il periodo storico della Grande Guerra, adottando come punto di vista sui generis l’ardimento con cui D’Annunzio lo visse, dimostrando nei fatti uno straordinario amor di Patria.

Nella sua esistenza vissuta all’insegna del Decadentismo e dell’inimitabilità, il Vate si ritaglia nella società il doppio ruolo di intellettuale e Super-Uomo, riecheggiando il pensiero di Nietzsche e facendosi interprete del nuovo, inquieto sentire dell’umanità del primo Novecento, attraversata da avvisaglie di antisemitismo (il caso Dreyfus è il più emblematico), dal nazionalismo e dalla corsa agli armamenti. Sulla scorta di questo quadro, l’Europa arriva alla Prima Guerra Mondiale; i popoli, a loro volta stretti fra la propaganda nazionalista, le inquietanti meraviglie del progresso dell’ultimo scorcio di fine Ottocento, e i venti di guerra, presagiscono la fine di un’epoca.

Di fatto, l’Europa del primo dopoguerra sarà profondamente diversa. Ma intanto, in quel clima che istiga violentemente all’azione, in quel fatale 1915, il Vate non rimane inattivo, e l’apice del suo interventismo oratorio lo sfoderò a Roma, nel celebre Discorso del Campidoglio detto “dalla Ringhiera”, del 17 maggio, e del quale si può ammirare il manoscritto originale, firmato e datato dal Vate. In quel celebra discorso, D’Annunzio si scaglia contro l’inerzia di Giolitti, colpevole di denigrare l’onore dell’Italia e dell’Esercito.

Rifiuta “il baratto” delle terre irredente, e spinge per l’azione militare. Fu, l’appello di D’Annunzio, l’ultima spallata all’indecisione politica del Governo, che l’entusiasmo della folla spinse, una settimana dopo, a dichiarare aperte le ostilità contro l’Austria-Ungheria.

Dichiarata guerra, il Vate d’Italia restò coerente alle sue arringhe del “Maggio radioso”, e prestò servizio in linea sia in Aviazione sia in Marina, guidando all’interno di quest’ultima la celeberrima “beffa di Buccari”, mentre come aviatore si distinse per la trasvolata su Vienna, due imprese fra le sue tante, che suscitarono vasta eco nell’opinione pubblica nemica. In quei cinquantadue anni, ovvero l’età che aveva quando si arruolò volontario, si può leggere tutto l’ardimento dispiegato da questo intellettuale e patriota, le cui gesta infondevano alle truppe al fronte quella determinazione che non sempre erompeva dai bollettini del Comando Supremo.

Combatteva a suo modo: con coraggio, ma anche con un certo stile, come testimoniano le sue uniformi, alcune delle quali in mostra: come quella grigioverde del V Reggimento Lancieri di Novara, con i gradi di Tenente Colonnello, e l’uniforme kaki da Ardito delle Fiamme Azzurre, espressamente ideata dallo stesso D’Annunzio per le sue imprese. Un’uniforme che ha fatto scuola, perché adesso le fiamme di quel colore sono in uso nel 185° RAO.

Lo spirito patriottico con il quale D’Annunzio combatteva, lo si può comprendere anche osservando le numerose decorazioni e Medaglie al valore che gli furono concesse per le sue imprese, quali ad esempio il volo su Vienna, le battaglie di Veliki Kribak e Faiti Hrib, l’impresa delle Bocche di Cattaro 8quando la sua squadriglia aerea bombardo la flotta austriaca lì ancorata). Di quest’ultima si conservano ancora i guanti utilizzati dal Vate per pilotare l’aeroplano. In mostra anche bussole, mappe delle zone di guerra, lettere, fotografie e documenti militari, che ricostruiscono il clima dell’epoca.

Particolarmente suggestiva, per l’alto valore storico e morale che la riveste, la Bandiera tricolore con lo stemma Sabaudo, che D’Annunzio avrebbe dovuto issare sulla cima del Monte San Giusto, una volta conquistato. Quella che avrebbe dovuto essere una pagina fausta della guerra italiana, ebbe però un tragico epilogo: il 28 maggio 1917, D’Annunzio era in linea con un reparto di Lupi di Toscana guidato dal Maggiore Giovanni Randaccio alla conquista di Quota 28, poco dopo il Timavo; la conquista riuscì, ma il Maggiore spirò poche ore dopo, per le gravi ferite riportate in battaglia.

D’Annunzio, decise quindi di utilizzare la Bandiera per avvolgere il corpo dell’eroico Maggiore, del cui sangue è in parte ancora intrisa. Si tratta di un cimelio suggestivo per la vicenda che racchiude, indicativa di uno spirito patriottico votato fino al sacrificio estremo, appunto lo spirito che animava l’Esercito Italiano in quel particolare frangente storico. Esporlo in una mostra, non significa riaccendere entusiasmi bellici, ma semplicemente ricordare e rispettare il sacrificio di chi ha combattuto per compiere l’Unità d’Italia.

D’Annunzio portò il suo innegabile contributo anche oltre il campo di battaglia, compiendo imprese propagandistiche che ebbero un forte impatto sia sul nemico, sia sulle truppe italiane. Fra queste, l’impresa più nota è la trasvolata su Vienna dell’agosto 1918, quando undici Ansaldo S.V.A. dell'87ª Squadriglia Aeroplani, comandata dal Maggiore D’Annunzio, raggiunse la capitale imperiale e vi lanciò dal cielo migliaia di volantini contenenti l’appello alla resa austriaca. I suggestivi documenti, sui quali campeggia il tricolore, sono esposti nella mostra romana; piccoli rettangoli di cartoncino, per “recapitare” i quali fu necessario un lungo e pericoloso volo sulle trincee nemiche, con aerei che certo non garantivano la sicurezza tecnica attuale.

Una mostra, D’Annunzio Soldato, che lo Stato Maggiore dell’Esercito ha allestita con approfondita attenzione alle vicende storiche, che restituiscono al visitatore del 2015 il clima della Prima Guerra Mondiale, così come lo sentì e lo visse un intellettuale che, al di fuori della pagina scritta, si sentiva un patriota.

Niccolò Lucarelli

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