Firenze si vende il Teatro e ricorda Vagnetti: era rimasto chiuso dentro

Circondati da tanto Rinascimento, il '900 rischia di essere un secolo troppo breve

Antonio
Antonio Lenoci
18 marzo 2016 11:44
Firenze si vende il Teatro e ricorda Vagnetti: era rimasto chiuso dentro

Con l'apertura dell'Opera di Firenze il Teatro Comunale non serve più e così viene messo più volte all'asta ed infine aggiudicato, all'interno resta un'opera che oggi è da 'strappare' e che ci consente di ricordare Gianni Vagnetti, artista che ha vissuto ed operato in piazza Donatello, a Firenze, la rinascimentale Firenze, tra i palazzi degli artisti e a pochi passi da via degli Artisti.. quando si dice il caso.In Corso Italia 20 l'edificio del Teatro Comunale già Politeama Fiorentino Vittorio Emanuele II, Teatro Comunale Vittorio Emanuele II, Teatro Comunale del Maggio Musicale Fiorentino che affaccia su via Magenta e via Solferino è sorto con il contributo di numerosi architetti ed artisti scultori e pittori che hanno lasciato al suo interno il segno del loro passaggio tra '800 e '900.Nel repertorio delle Architetture Civili di Firenze troviamo ad esempio "Si segnala, nella sala del bar principale, un grande affresco di Gianni Vagnetti del 1938, con strumenti musicali alludenti agli spettacoli ospitati dal teatro".

Dopo aver, finalmente (?), aggiudicato l'immobile, il Comune decide di 'strappare' e restaurare l'affresco del 1938 "Paesaggio con natura morta e strumenti musicali" presente nell’ex Teatro Comunale. "Spero proprio che una volta finita l’operazione sia collocato in un luogo pubblico. Un bene visibile a tutti e non un regalo a chi ha comprato l’ex immobile in Corso Italia” commenta il consigliere Tommaso Grassi, sfogliando gli atti. “La mia perplessità deriva dal fatto che dopo la vendita alla Cassa Depositi e Prestiti del Comunale, e il conseguente conferimento alla società Nikila, tramite la controllata Corso Italia, l'immobile sarà trasformato in appartamenti di lusso.

Non è che stiamo assistendo all'ennesimo regalo del pubblico al privato. Se oltre a ciò, aggiungiamo che la società Nikila ha profondi intrecci e accordi economici con il padre di Renzi, ci chiediamo perché non sia stato messo a carico del privato il recupero dell'opera. Anche solo per evitare qualsiasi tipo di illazione. Vogliamo salvare un affresco? Allora perché non decidiamo prima dove collocarlo e poi autorizziamo tutta l’operazione? E se il valore dell'affresco è così importante non inseriamo alcun stanziamento economico in fase di bilancio, ma chiediamo al privato la manutenzione, il restauro e l'esposizione al pubblico dell'opera.

Così si faranno gli interessi della città e non solo dei soliti noti”.

Immediata la replica da parte dell’assessore al patrimonio Federico Gianassi “Il consigliere Grassi ha preso un altro abbaglio: il Comune è rimasto proprietario dell’affresco e per questo lo rimuoverà e lo restaurerà, per poi ricollocarlo. Nell’atto di vendita dell’ex Teatro Comunale – spiega – è stato previsto proprio lo ‘strappo’ e il successivo ricollocamento dell’affresco. I lavori inizieranno nei prossimi mesi. Nessun ‘regalo’ a chicchessia – conclude Gianassi – ma un’operazione di conservazione di un bene che è e resterà pubblico.

Il consigliere Grassi forse prima di parlare avrebbe dovuto leggere meglio gli atti”.Salta agli occhi come il consigliere parli di "immobile trasformato in appartamenti di lusso" senza che l'assessore con delega al Patrimonio lo corregga. Prendiamo quindi per confermata tale affermazione.Tornando all'opera, la dicitura "libero da persone e cose" che compare sugli atti di vendita in questo caso comprenderebbe dunque anche l'affresco di un pittore fiorentino ben quotato sul mercato internazionale.

L'assessore non accenna al luogo per il ricollocamento, a sensazione ipotizziamo che un'opera datata 1938 possa trovare posto nel Museo del Novecento, a Santa Maria Novella.Cogliamo l'occasione per ricordare Gianni Vagnetti che nasce a Firenze il 21 marzo 1897. Sarà artista come il padre ed il nonno: pittore e scenografo.

"La pittura di Vagnetti è stata avvicinata (ed è un giudizio che suo malgrado lo ha sempre accompagnato) a immagini e ambientazioni crepuscolari, a un mondo di cose e persone (come le malinconiche figure femminili ritratte nella serie delle educande) che non stonerebbero in una "stampa" palazzeschiana (non occasionali sono le litografie eseguite per l'edizione delle "Stampe dell'Ottocento" uscita nel 1942 per i tipi dei Cento amici del libro) e Emilio Cecchi ha parlato (1943) di "sensualità quasi gozzaniana".

Per lui è stata usata anche la definizione di "pittura borghese" (Salvini, 1958) a delimitare un preciso retroterra culturale. La voglia di aggiornamento - non accontentandosi di suggestioni municipali - lo spinse comunque a documentarsi direttamente negli atelier parigini (il primo viaggio di studio in Francia è datato 1930) e se la lezione di riferimento rimane quella ottocentesca della "macchia", il mondo della tradizione e della misura tipicamente toscana di Vagnetti è tutt'altro che chiuso e scosso piuttosto da una "temperie non regionalistica dell'intelligenza" (Betocchi, 1966).

La sua tavolozza, dove i tratti figurativi e la volontà didascalica si riconoscevano ancora nitidi (tra i maestri di riferimento, per le sue prime stagioni, si fanno i nomi di Armando Spadini e di Felice Carena), arriva quindi a scomporsi fino a giungere ad approdi definiti post-cubisti, il nome tutelare che la critica evoca per la stagione matura di Vagnetti è infatti quello di Braque. Ma al di là di ogni avanguardia e di suggestioni per le novità, il vero legame con l'arte di Oltralpe lo annodò con la scuola impressionista (e per la sua interpretazione di questo movimento si faccia riferimento alla preziosa monografia, intitolata per l'appunto "Impressionisti", che pubblicò alla fine della guerra).

L'eredità più autentica che ci lascia rimane però sicuramente quella legata alle sue radici e alla serietà di un impegno tenacemente solitario svolto nel solco della tradizione. Proprio nell'ambito di un più generale ritorno all'ordine si può far rientrare la sua partecipazione, alla fine degli anni Venti, al "Gruppo Toscano Artisti d'Oggi" (poi rinominato "Gruppo Novecentesco Toscano") che sotto la guida teorica di Raffaello Franchi si propose come sponda toscana del movimento sarfattiano.

Ma Vagnetti mantiene un difetto di intimismo e di eccessivo psicologismo che gli impediscono di raggiungere i volumi e la retorica di quel linguaggio. Nonostante le amicizie che ha coltivato tra i critici e gli artisti di apparato (Antonio Maraini e Cipriano Efisio Oppo su tutti), rapporti personali che gli assicurarono una presenza costante alle esposizioni ufficiali in Italia e all'estero (ha partecipato con continuità a numerose edizioni della Biennale di Venezia - dove nel 1932 allestì una sala personale, come una sala celebrativa gli fu dedicata nel 1956 per ricordarne la precoce scomparsa -, così come alla Quadriennale di Roma e alla Triennale di Milano), Vagnetti rimane lontano dal clima eroico-monumentale del fascismo, e nell'arco della sua parabola si può considerare come accessoria l'esecuzione, datata 1929, di un ritratto - per quanto apprezzato dal committente - di Mussolini".

Una sezione di archivio su Gianni Vagnetti è presente presso il Gabinetto Vieusseux

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