Bekaert: ieri il corteo a Figline

Enrico Rossi: "Giovedì a Roma vogliamo il Governo, l'azienda ma anche la Pirelli". “Smettiamo di avere paura del diverso, del migrante, dello straniero, del povero. Io ho paura di questi ricchissimi che in trenta minuti mi hanno chiuso lo stabilimento” grida l'operaio Marcello Gostinelli

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
30 giugno 2018 20:00
Bekaert: ieri il corteo a Figline

FIRENZE – In migliaia sono scesi ieri sera in strada a Figline per salvare la Bekaert, i 318 lavoratori a cui è stata spedita dall'oggi al domani una lettera di licenziamento e quelli dell'indotto. E dal palco il presidente della Toscana Enrico Rossi chiede con forza che all'incontro previsto giovedì a Roma al Ministero delle sviluppo economico ci sia stavolta un rappresentante politico del Governo, ci sia l'azienda che ugualmente aveva disertato la prima convocazione – e si faccia magari pressione sul governo belga perché non manchi - ma ci sia anche la Pirelli, che nel 2013 ha messo in vendita lo stabilimento e consegnato alla multinazionale le chiavi del monopolio della produzione del filo d'acciaio usato per lo scheletro dei pneumatici, in cambio, raccontano lavoratori e sindacati, di uno sconto sul prodotto che sarebbe tra le cause delle perdite degli ultimi due anni dello stabilimento.

Già allora qualcuno aveva annusato il pericolo. Per la Pirelli Figline era lo stabilimento della ricerca e sviluppo. La Bekaert invece il suo cervello l'aveva già.

"Chiediamo che si riapra la trattativa - dice Rossi - e che, per partire, intanto vengano sospesi i licenziamenti. In questo caso non ci troviamo di fronte ad un settore in crisi: un mercato c'è. Chiediamo che si garantisca la prosecuzione dell'attività produttiva, utilizzando tutti gli strumenti a disposizione". Uno è il fondo contro le delocalizzazioni. La Bekaert chiude infatti per spostare la produzione in Romania e in molti in piazza ieri sera a Figline guardavano a quanto fatto dall'ex ministro Carlo Calenda e al salvataggio dell'Embraco di Torino, alla fine ceduta.

I belgi al momento non sembrano però pensare ad alcuna vendita dell'azienda, che per gli operai rimane invece una delle soluzioni. L'unità e la solidarietà dimostrata dai lavori, dalla città e dall'intera vallata è il punto di forza da cui partire per vincere, secondo Rossi. "I dirigenti della multinazionale belga hanno pensato che la classe operaia fosse oramai piegata e che i lavoratori fossero così malridotti e incapaci di reagire che avrebbero accettato le lettere di licenziamento senza colpo ferire – incalza dal palco - .

Ma hanno fatto male i loro conti". Con i cittadini e i lavoratori in piazza ci sono amministratori locali e parlamentari ed europarlamentari di diverso coloro politico. "Siamo stati a Roma e la partenza non è stata positiva – accenna il presidente -. C'era solo un funzionario". "Giovedì un rappresentante del Governo – reclama - ci deve però essere, in nome della Toscana e dell'istituzione che rappresento, per rispetto dei lavoratori, dei cittadini e del consiglio regionale toscano". Poi una riflessione sull'Unione europea.

"L'Europa solo del mercato e della concorrenza è un'Europa che uccide i valori e uccide se stessa – conclude - . A Ventotene, quando della futura unione scrissero il manifesto, misero al primo posto l'unità e poi dissero che ‘o sarà l'Europa dei lavoratori o non sarà'. L'Europa del capitale e della grande finanza che calpesta i diritti sociali e del lavoro produce mostri nella sua pancia, è un'Europa che fa paura e noi dobbiamo combatterla. Ma non per tornare indietro, bensì andando avanti.

Io, per questo, rimango per l'Europa".

Possibile si unisce nell’abbraccio ai 318 operai ed alle loro famiglie: “Per noi che abbiamo sempre avuto a cuore i diritti, la vicenda che interessa decine di lavoratrici e lavoratori della Bekaert non può che vederci coinvolti in loro difesa. Non abbiamo dubbi a stare dalla parte dei diritti del lavoro, dei diritti che riguardano la dignità personale, che garantiscono o dovrebbero garantire il futuro di ognuno di noi, oggi il futuro di queste donne e questi uomini e delle loro famiglie. La politica in questi casi ha un compito che non deve essere giudicante, ma oltremodo oneroso: trovare una soluzione che sappia rendere giustizia al mondo del lavoro, partendo anche dalle lotte. Il passato di questo stabilimento è diventato patrimonio anche di coloro che non ne conoscevano la storia e, sempre con lo sguardo rivolto al futuro, di quel passato, anche in parte orgoglioso, dobbiamo recuperare la memoria della lotta, perché nessuno firmi la resa prima di aver combattuto. In questo drammatico frangente, tuttavia, è più che mai necessario ribadire con forza che le scelte politiche di questi ultimi anni sono state scriteriate.

Ancora una volta siamo chiamati ad una scelta di campo e a ricordare che questa partita si gioca avendo ben chiaro chi sta di qua e chi sta di là: hanno ragione coloro che dicono che non si deve fare sciacallaggio politico, hanno ragione perché chi sta da questa parte c’era anche quando gli stessi che oggi si stracciano le vesti brindavano alle progressive e magnifiche sorti del liberismo. Bekaert è un simbolo di quello che accade quando si decide di mitigare le norme, quando si decide di flessiblilizzare i diritti, quando si decide di stare con i più forti. Ma i deboli reagiscono e lo fanno in maniera dignitosa, come gli operai della Bekeart che, pur avendo visto calpestare la propria vita, hanno pensato prima al bene delle propria azienda e poi al proprio.

Si sono organizzati per mantenere vivo il presidio permanente ed hanno ripreso la produzione. Per chi ha il compito di trovare delle soluzioni, le storie come quelle delle Bekeart dovranno essere fari sempre accesi, così come la nostra Costituzione dovrà esserne la bussola: è nel lavoro che il cittadino riconosce la propria dignità”.

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