Giorno del Ricordo: Monaci, atto di giustizia per vittime

Il presidente del Consiglio apre con il suo intervento la seduta solenne per la celebrazione

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
11 febbraio 2014 13:15
Giorno del Ricordo: Monaci, atto di giustizia per vittime

Firenze – Il ricordo delle vittime e di una delle pagine più drammatiche della nostra storia, rappresenta in primis “un atto di giustizia”. E il Giorno del Ricordo deve essere “lo strumento da cui partire per costruire una memoria condivisa. Una memoria, rivolta in particolare ai giovani, fondamento di un sentimento e di un futuro di pace”. Lo afferma il presidente del Consiglio, Alberto Monaci, in apertura della seduta solenne per la celebrazione del Giorno del Ricordo, oggi in Palazzo Panciatichi.

Nelle parole del presidente anche la condanna “senza mezzi termini” di certi interventi “dichiaratamente strumentali, provocatori e oltraggiosi letti sui giornali in questi giorni”. Monaci argomenta “questa barbarie nascosta” per decenni: l’agenzia di stampa “Astro 9 colonne”, nel fare un conteggio dei lanci di agenzia pubblicati dal dopoguerra ad oggi sul tema delle foibe, “ha scoperto che fino al 1990 erano stati poco più di 30. Negli anni recenti ogni anno ce ne sono stati addirittura più di 200”.

La congiura del silenzio, cioè, vi fu e fu “più amara e demoralizzante dell’oblio”. Anche se la ricerca dei motivi del silenzio va lasciata agli storici, “la situazione era difficile e sicuramente la Jugoslavia di Tito era una realtà strategica, che faceva da cuscinetto tra Occidente ed Urss”. Tuttavia durante le trattative per arrivare ad una risoluzione della questione italo - jugoslava attorno ai territori triestini e istriani “vi furono dubbi e preoccupazioni anche di fronte alle mosse anglo – americane, temendo che l'Italia si sarebbe trovata un'altra volta sconfitta”.

“Per contro – aggiunge Monaci - non sfuggivano alle cronache le drammatiche vicende degli eccidi nelle foibe istriane”. Così ad esempio “Guareschi trascriveva quanto leggeva dai bollettini e dai quotidiani inviatigli dai lettori di Candido, settimanale umoristico che contava firme di primo piano come Mosca, Montanelli o Leo Longanesi”. L'odio e la pulizia etnica sono stati “l'abominevole corollario dell'Europa tragica del Novecento, squassata da una lotta senza quartiere fra nazionalismi esasperati”.

Ma la memoria, continua il presidente, “ci aiuta a guardare al passato con interezza di sentimenti, a riconoscerci nella nostra identità di Italiani”; in questo esercizio si ritrova la visione europea, fondata sul rispetto delle diversità, sullo spirito di convivenza e reciproco scambio tra etnie, culture e lingue diverse. La visione, cioè, che “ci permette di superare ogni tentazione di derive nazionalistiche “. E’ in Europa che dobbiamo trovare “nuovi stimoli”, facendo leva “anche sulle minoranze che risiedono all'interno dei nostri Paesi e che costituiscono nello stesso tempo una ricchezza da tutelare, un'opportunità da cogliere”. Questa prospettiva di futuro, conclude il presidente, è ciò che dobbiamo “tanto alle generazioni che hanno sofferto nel passato quanto alle nuove”, alle quali dobbiamo prospettare “società più giuste e più solidali, capaci di autentica coesione perché nutrite di senso della storia, ricche di un nuovo impegno di reciproco riconoscimento”. “Affrontare il passato, in tutta la sua dolorosa crudezza, significa donare alle generazioni a venire un futuro più solido perché fondato sull’esperienza di chi le ha precedute.

Questo è il compito della storia, la cui conoscenza non è, e non può limitarsi ad essere, narrazione dei fatti ma deve rappresentare una coscienza viva del proprio passato”. Così Michele Pigliucci, presidente nazionale del “Comitato 10 febbraio”, l’associazione che da anni si batte per restituire al Paese la memoria per troppo tempo insabbiata di ciò che avvenne nel confine orientale alla fine della guerra e che coinvolse migliaia di italiani. Citando Antonio Gramsci, “la verità è sempre rivoluzionaria”, Pigliucci ha individuato “obiettivi, impegni e responsabilità cui questa ricorrenza ci chiama” anche per non correre il rischio che diventi “semplice esigenza di testimonianza”. “È necessario comprendere e raccontare – ha detto – quali possono ancora essere gli elementi di attualità legati a questo giorno”.

E tra i primi obiettivi richiamati, quello di “ricucire, definitivamente, le pagine strappate dal libro della storia nazionale, perché possano insegnare a raccontare alle future generazioni ciò che è stato, affinché non abbia a essere mai più”. Esiste, tuttavia, secondo Pigliucci, un secondo obiettivo da perseguire, “intrinseco alle celebrazioni”. Quello di “restituire piena dignità non soltanto alle tragedie ma all’intera, complessa storia degli italiani in Istria, nel Quarnaro e in Dalmazia”.

“Bisogna – ha continuato – sgomberare definitivamente il campo dalla sensazione di imbarazzo di quanti ancora tendono a ritenere la presenza italiana nell’Adriatico orientale una presenza allogena, di stampo quasi coloniale, e raccontare invece, senza vergogna, come gli italiani abbiano abitato quelle terre ininterrottamente da duemila anni, in una convivenza quasi pacifica con gli sloveni e i croati”. “Bisogna raccontare – ha rilevato ancora il presidente – come quelle terre siano ancora oggi abitate da italiani” per “restituire dignità alla storia del popolo giuliano dalmata” definito da Indro Montanelli “due volte italiano”. Eppure l’Italia, ha osservato Pigliucci, “ha fatto dei giuliani il proprio capro espiatorio, evitando così di affrontare realmente la responsabilità di una guerra tragica e devastante”.

Riflettere oggi sulla presenza di nostri connazionali in quelle terre “significa anche saper cogliere le opportunità che possono rappresentare nella costruzione di una Europa senza più confini”. Opportunità e “valore aggiunto” che gli stessi croati hanno riconosciuto visto il “processo di inclusione e di tutela della specificità della cultura italiana avviato negli ultimi anni”. “Sarebbe dunque paradossale – ha sottolineato Pigliucci - che l’Italia non fosse pronta a rispondere a questa opportunità perché troppo impantanata nella incapacità di leggere la propria storia come storia di tutti e non soltanto di una parte”. Anche per questo, a dieci anni di distanza dall’approvazione della legge 92 del 30 marzo 2004 con la quale il Parlamento italiano istituì il Giorno del Ricordo, con il fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, “possiamo sperare che questa ricorrenza abbia ancora un ruolo da esercitare”.

“La nazione, come l’individuo – ha concluso il presidente citando Ernest Renan – è il punto di arrivo di un lungo passato di sforzi, sacrifici, dedizione. L’esistenza di un Giorno del Ricordo dei sacrifici compiuti insieme, può essere il punto di partenza per la costruzione di una vera nazione europea fondata sulla solidarietà, sul rispetto della storia di ciascuno, sul riconoscimento delle reciproche identità”. “Recuperare e far emergere la memoria consapevole ed intera delle vicende drammatiche che coinvolsero le popolazioni della Venezia Giulia, dell’Istria e della Dalmazia negli anni a cavallo tra il ventennio fascista e il dopoguerra, è prima di tutto un dovere morale della coscienza e di onestà politica”.

Così ha esordito la vicepresidente della Giunta regionale Stella Targetti intervenendo in aula, alla seduta solenne per la celebrazione del Giorno del Ricordo, invitando a “farlo senza reticenze e timori”. Ovvero, “approfondendo lo sguardo storico e politico su un periodo complesso e ampio della vita di quelle aree, così come ha fatto la commissione storico-culturale italo-slovena istituita nel 1993 dai ministeri degli Esteri dei due Paesi”, affermando la necessità di inserire ogni evento all’interno di un contesto ampio e approfondito.

Da qui l’invito a “comprendere come al fondo di questi drammi vi sia la concezione dell’altro, visto come una minaccia alla propria supposta purezza identitaria – ha continuato Targetti –. Ed è altresì fondamentale schierarsi dalla parte giusta che è, in ogni momento, quella delle vittime”. E dopo aver ricordato la tragedia delle Foibe e dell’esodo forzato, la vicepresidente ha parlato anche dell’italianizzazione forzata della scuola, della lingua e delle identità slovene e croate negli anni del fascismo, “che portò all’equazione sbagliata tra Italia fascismo”; dell’invasione della Jugoslavia nell’aprile del 1941 che contribuì ad acuire l’odio anti-italiano; delle violenze contro gli italiani dopo l’8 settembre fino al maggio 1945, in tutta l’area tra Trieste, Gorizia e Pola, “che facevano leva su quell’odio accumulato, ma corrispondevano al preciso disegno di Tito di distruggere il potere italiano sul territorio”.

“Violenze, esodi forzati, identità lacerate, straniamento, sono la conseguenza di tutto questo – ha sottolineato Targetti – del non accettare che su una stessa terra possano vivere comunità con identità culturali diverse”. In questo contesto “l’impegno della Toscana è quello di contribuire a costruire una memoria condivisa, per trasmettere ai giovani quei valori di convivenza civile che proprio la Resistenza ci ha permesso di affermare, e che sono l’unico modo per costruire insieme società più libere e giuste – ha continuato la vicepresidente –.

Nulla deve farci velo, nulla deve ostacolare la ragioni di un ricordo che si trasforma in monito affinché tutti ci adoperiamo concretamente, ogni giorno – ha concluso – per affermare la fondamentale dignità di ogni essere umano, perché nulla di tutto questo possa accadere ancora”. «Le Foibe sono una pagina di storia italiana che non può essere dimenticata, il dramma ed il sacrificio di migliaia di italiani uccisi, seviziati, cacciati dalle loro case e dalla loro terra solo perché colpevoli di essere italiani è un pezzo della storia nazionale che va raccontata per quello che è stato: una violenza inaudita ai danni di italiani voluta e portata avanti dal disegno prepotente e nazionalista del regime comunista jugoslavo di Tito.

Questo è e questo va detto e poiché Simone Cristicchi con il suo “Magazzino 18” racconta questo dramma italiano in maniera magistrale, obiettiva e artisticamente bellissima troviamo che questo lavoro possa essere condiviso da tutte le scuole della Toscana perché si possa aprire finalmente la porta della memoria». Così la portavoce dell’Opposizione in Consiglio regionale Stefania Fuscagni, promotrice, assieme a tutti i capigruppo delle forze di opposizione (Giovanni Santini per FGorza Italia, Alberto Magnolfi per Nuovo centrodestra, Giovanni Donzelli per Fratelli d’Italia, Antonio Gambetta Vianna per Più Toscana e Giuseppe Del Carlo per l’Udc) di una proposta rivolta all’assessore all’Istruzione Targetti per portare la rappresentazione “Magazzino 18” nelle scuole toscane. «La memoria non è né di destra né di sinistra: la memoria è memoria e le Istituzioni hanno il dovere di sostenere ogni azione che possa superare silenzi di parte, ormai incomprensibili, per costruire finalmente un ricordo condiviso che sia di tutti gli italiani al di là delle parti politiche.

Faccio un appello all’Assessore Targetti, ma di fatto lo estendo a tutti, perché – nell’ambito dell’autonomia scolastica- si invitino tutte le scuole a far vedere ai ragazzi il lavoro di Cristicchi, meglio se in collaborazione con i Comuni e le Provincie toscane. Sarebbe un bel segnale, sarebbe una cosa giusta e sarebbe anche una lezione di storia e di attualità rivolta a quelle persone che ancora non sono capaci di capire che ciò che accade non si tocca, non si stravolge, non si vende per soli e pure sbagliati piccoli interessi di ideologica bottega.

La Toscana, così facendo, troverebbe un modo giusto per chiedere scusa di ciò che è accaduto a Firenze», conclude Fuscagni.

Notizie correlate
In evidenza