La Galleria del costume celebra i suoi primi trenta anni

La moda è uno specchio abbastanza fedele della società, è un teatro senza limiti dove ognuno appare secondo i propri gusti e le proprie idee

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
11 novembre 2013 20:17
La Galleria del costume celebra i suoi primi trenta anni

FIRENZE - La Galleria del costume celebra i suoi primi trenta anni con una nuova selezione di abiti e accessori, dedicata alle Donne protagoniste del Novecento, icone di stile, ma anche di cultura, che hanno saputo capire e interpretare il loro secolo, facendo della moda uno strumento privilegiato d’espressione. Un abito, infatti, non si riduce a un po’ di stoffa che copre un corpo, bensì esalta quello stesso corpo, e rivela buona parte della personalità di chi lo indossa. La moda è uno specchio abbastanza fedele della società, è un teatro senza limiti dove ognuno appare secondo i propri gusti e le proprie idee; infatti, certe scelte in fatto di abbigliamento denotano l’appartenenza a fedi religiose ben specifiche, oppure la condivisione di idee politiche. Al momento della sua apertura, nell’83, la Galleria del Costume fu la prima del genere in Italia, quando ancora soltanto una ristretta élite prestava attenzione alla storia della moda, ai risvolti sociali che questa ha rivestito e riveste tuttora, e all’influenza che il passato ha sulla vita contemporanea.

Infatti, a partire dal Settecento, da quando la moda, in particolare quella femminile, è diventata un elemento imprescindibile della società, il riproporsi dell’allure di epoche passate è stato costante: subito dopo la Rivoluzione Francese, eliminati gli chignons incipriati, le parrucche e le pesanti crinoline di raso, si ritornò alla sobrietà dell’epoca di Luigi XV; a fine Ottocento, i dandies londinesi rispolverarono il pizzo e i merletti cinquecenteschi dell’epoca della Grande Elisabetta; infine, in anni più recenti, la moda hippy si ispirò allo stile inglese dell’età Vittoriana.

La moda accompagna la società nella sua evoluzione, e per questo ne registra gli umori e le inquietudini. Undici le donne protagoniste della mostra, che coprono tutto l’arco del secolo, da Franca Florio a Patty Pravo, passando per Anna Piaggi e Cecilia Matteucci Lavarini, ognuna legata al mondo dell’arte, del giornalismo, del teatro, della moda, tutte contraddistinte da uno spiccato savoir vivre, che ancora oggi rimane, per gran parte del popolo italiano, una mancata conquista civile. Riemerge il fascino aristocratico degli abiti da sera degli anni Cinquanta, sontuosi e discreti insieme, indossati da Anna Rontani o Antonella Florio, vestigia di un’epoca ormai tramontata, ma il cui fascino romantico è immortale.

Unici i mantelli creati da Poiret per Anna Piaggi, che Negli anni Sessanta, quando il Made in Italy era ancora di là da venire e il miracolo economico migliorò sensibilmente il tenore di vita degli italiani e rese la moda un settore sempre più in espansione, la Piaggi divenne fashion-editor di Arianna, il primo periodico femminile che inaugurò un genere a sé stante. I suoi articoli, venati di garbata iconoclastia e senso della modernità, contribuirono a diffondere e ampliare l’interesse delle donne per la moda e l’eleganza.

Scrivendo con un linguaggio sofisticato e sintetico, al quale affianca puntuali collage di immagini fotografiche, la Piaggi seppe fare della moda un mezzo di espressione e comunicazione, persino, si potrebbe dire, un fatto sociale, che non riguardava soltanto il corpo, ma anche la mente. Nel 1970 inizia la collaborazione con la prestigiosa testata Vogue, al cui interno, nel 1988, inaugurerà le ormai celeberrime “doppie pagine”, da dove osserva e commenta la moda con competenza tale da farla assurgere al rango di una delle massime esperte del settore in fatto di eleganza e portamento, tanto che lo stilista Karl Lagerfeld decise di dedicarle un libro, intitolato Anna Chronique.

La sua passione per la moda si esprimeva anche attraverso il collezionismo di abiti usati, raccolti anche nei numerosi viaggi all’estero, e di nuovo fu tra le prime a introdurre il concetto di “vintage”. Altra figura di spicco, la divina Eleonora Duse - attrice di prosa di fama mondiale e musa di Gabriele D’Annunzio -, le cui tuniche disegnate da Fortuny guardano alle suggestioni d’Oriente. Ancora nel campo dell’arte, Patty Pravo, la ragazza del Piper con la valigia blu, raffinata interprete di canzoni d’autore.

Di lei, quattro abiti di eleganza minimalista, tre dei quali indossati sul palco dell’Ariston. E ancora, Maria Cumani Quasimodo, Rosa Genoni, Lietta Cavalli, tutte donne che, quasi tutte, sono state giovani fra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta, un periodo nel quale non era semplice essere anticonformiste e affermare la propria personalità; anche per questo, le donne celebrate dalla Galleria del Costume meritano rispetto e ammirazione, essendo state le anticipatrici di una libertà che la maggior parte delle donne ha acquisita soltanto in seguito. Di Flora Wiechmann Savioli e Angela Caputi si presentano rispettivamente i gioielli in materiali non preziosi e i bijoux, accanto agli interessanti intrecci delle donne del Rwanda che i designers trasformano in gioielli. Esposizioni del genere travalicano l’ambito artistico/estetico, per innescare anche utili riflessioni sociali, in un’Italia dove le violenze sulle donne sono infame quotidianità.

L’eleganza, come spiegava Coco Chanel, prima che una questione estetica, è una questione d’intelligenza. Se, ancora oggi, le donne sanno vestirsi con più eleganza degli uomini, una ragione deve pur esserci. Eppure, l’Italia maschilista continua la sua corsa verso il regresso, attenta solo a risse da stadio, partite di calcio, lotterie e talent-show. Niccolò Lucarelli

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