“Il volto di Ulisse, la metafora del limite” con Vinicio Capossela

Capossela incontra il “mito” di Bekim Fehmiu. Intervengono assieme al cantautore italiano, Michele Nardelli del Forum Trentino per la pace e il critico letterario Giuseppe Colangelo

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
20 novembre 2012 15:17
“Il volto di Ulisse, la metafora del limite” con Vinicio Capossela

Si terrà domani 21 novembre alle 18.30, presso la Casa della Creatività di Palazzo Giovane, in vicolo di Santa Maria Maggiore 1r, a Firenze , l’incontro dal titolo “Il volto di Ulisse, la metafora del limite”, assieme ad uno dei cantautori italiani più apprezzati del momento. A dialogare con Michele Nardelli del Forum Trentino per la pace e i diritti umani e il critico letterario Giuseppe Colangelo, sara’ infatti nientemeno che Vinicio Capossela, che ha dedicato il suo penultimo album “Marinai, Profeti e Balene” proprio a Bekim Fehmiu e che sara’ a Firenze per una due giorni di concerti all’Auditorium Flog il 20 e il 21 novembre.

Parteciperanno inoltre all’incontro Simone Malavolti dell’associazioni pAssaggi di Storia ed Elisa Bacciotti di Oxfam Italia. L’incontro avverrà all’interno della mostra fotografica e multimediale dedicata a “Bekim Fehmiu, l'Ulisse venuto dai Balcani”, che resterà aperta fino al prossimo 7 dicembre. Una mostra realizzata dall'Associazione Trentino con i Balcani, inaugurata lo scorso 16 novembre, che dopo aver girato con grande successo di pubblico tra Pristina, Sarajevo, Belgrado e Trento è arrivata a Firenze grazie a Oxfam Italia, all'associazione pAssaggi di Storia, e con il patrocinio del Comune di Firenze, nell'ambito degli eventi del Balkan Florence Express, la rassegna di cinema dai Balcani occidentali che si terrà dal 26 al 29 novembre al Cinema Odeon, in piazza Strozzi. La mostra nasce da un progetto promosso dall’Associazione Trentino con i Balcani in collaborazione con i giovani volontari di Serbia, Bosnia-Erzegovina e Kossovo, con l’intento di avviare una rilettura del passato attraverso una figura unificante della storia albanese, serba, jugoslava ed europea: quella appunto di Bekin Fehmiu.

Una figura che va contro lo stereotipo europeo dei Balcani divisi, ma anche contro le convenzioni culturali oggi dominanti negli stessi Balcani. Vinicio Capossela e Bekim Fehmiu "Né pietà di padre, né tenerezza di figlio, né amore di moglie. Ma misi me per l'alto mare aperto. Oltre il recinto della ragione, oltre le colonne che reggono il cielo, fino alle isole fortunate, purgatorio del paradiso". Così Vinicio Capossela ha colto la poesia di Fehmiu, nel suo brano Nostos, contenuto nell’album “Marinai, Profeti e Balene”.

Un racconto intorno all'eroe umano, che non si sottrae alla ricerca della conoscenza, ma che pure la teme perché consapevole che la conoscenza è dolore. L'Ulisse come simbolo dell'esilio e delle odierne migrazioni, diviso fra il cercar fortuna e i Centri di Permanenza Temporanea, fra le sirene e la realtà. Quell’Ulisse interpretato da Fehmiu nel primo sceneggiato Rai trasmesso nel mondo alle fine degli anni ’60. Un volto inconfondibile per intere generazioni, quando la trasmissione dell’ “Odissea” alla domenica sera veniva accompagnata dalla lettura dei versi di Omero da parte di Giuseppe Ungaretti.

Un attore, Fehmiu, profondamente jugoslavo, “che nei suoi lineamenti, esprimeva la sua origine albanese, le montagne del Kosovo, la raffinatezza di Sarajevo, l'orgoglio di Belgrado”, scrive Michele Nardelli. Ma Fehmiu è stato anche un Ulisse reale, in viaggio per le isole di terra dei Balcani. Nato nel giugno del 1936 a Sarajevo da una famiglia kossovara albanese costretta all’esilio, cresce a Scutari e poi a Prizren, studia a Pristina e Belgrado dove prenderà casa con la moglie. Nel 1956, è il primo albanese ad iscriversi all’Accademia d’Arte Drammatica di Belgrado.

Diventato famoso in Italia e oltreoceano negli anni ‘60, resterà orgoglioso albanese in Jugoslavia e jugoslavo nel mondo. Rifiutando le sirene dei nazionalismi e ritirandosi per protesta dalle scene prima che la sua Itaca dei Balcani sia insanguinata dalle guerre, lasciandoci un messaggio di amore per la propria professione, per la vita e per la propria identità libera.

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