Razza Chianina, c’è la richiesta, ma manca la carne

A Bettolle (Si) il convegno della Cia Toscana sul futuro e il rilancio della razza Chianina, allevatori toscani chiedono più sostegno per promozione, tutela e commercializzazione

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
01 giugno 2012 15:11
Razza Chianina, c’è la richiesta, ma manca la carne

In cinque anni perso il 4,9% dei capi in Toscana e arrivano le importazioni dal Brasile. In Toscana costi di produzione troppo elevati e le imprese zootecniche che crescono non “assorbono” le piccole che chiudono Dal mercato la richiesta di carne di razza Chianina è in continua crescita, superiore alla capacità di offerta del sistema produttivo toscano. E’ necessario lavorare per incrementare la produzione, attraverso una maggiore tutela dell’origine e della qualità della carne Chianina, una maggiore promozione dell’immagine e del prodotto, un sostegno allo sviluppo della produzione e alla crescita degli allevamenti e sviluppando ulteriormente la commercializzazione del prodotto.

E’ in sintesi quanto è emerso dal convegno organizzato dalla Cia Toscana sulla razza Chianina che si è svolto quest’oggi a Bettolle (Si), nella patria di Ezio Marchi “padre” di questa pregiata razza bovina toscana. A fronte di una richiesta da parte dei consumatori i dati parlano di una diminuzione dei capi di razza Chianina – negli ultimi cinque anni – del 4,9%, contro una crescita nelle regioni limitrofe di produzione, ovvero Lazio (+10,5%) e Umbria (+7,4%). Inoltre, negli ultimi tre anni, tante piccole aziende di allevamento sono state costrette a chiudere (-3,2% dal 2009 al 2011). <

Inoltre le nostre aziende sono sempre più di piccole e medie dimensioni, e quelle che riescono a crescere in dimensioni non sono comunque in grado di “assorbire” quelle piccole costrette a chiudere le stalle. Di fonte a questa crisi bisogna puntare sul miglioramento genetico della razza, rendere competitivo il sistema di allevamento e avere rapporti più stretti all'interno della filiera (produzione, trasformazione e distribuzione) affinché sia maggiormente valorizzato il prodotto nato ed allevato in Toscana.

Porteremo le nostre proposte al tavolo che convocherà la Regione e ci attiveremo affinché gli allevatori si organizzino per cogliere appieno le opportunità di questo progetto, in particolare rafforzando l’aggregazione>>. <

Pertanto, è necessario che siano rafforzate le politiche regionali tese alla crescita e allo sviluppo degli allevamenti in Toscana. La domanda è superiore all’offerta, dobbiamo mettere in piedi una strategia congiunta, fra allevatori, istituzioni, mondo della distribuzione>>. La proposta della Cia Toscana – Tutela dell’origine e della qualità della carne Chianina: attraverso un sistema di tracciabilità che va ulteriormente rafforzato e implementato sul terreno dell’informazione al consumatore per aggiornarlo, informarlo, fidelizzarlo, verso la qualità della carne Chianina degli allevamenti toscani.

Promozione dell’immagine e del prodotto: ci vuole un salto di qualità nelle azioni concrete ed in termini di strategia; promuovendo l’immagine della Chianina con più spazio nella comunicazione pubblica agli allevamenti e agli allevatori per rinsaldare l’immagine del prodotto con il territorio. La Cia Toscana chiede anche un sostegno allo sviluppo della produzione e alla crescita degli allevamenti:lavorare per incrementare la produzione, attraverso azioni e scelte politiche che portino gli allevatori ad investire.

<>. Infine secondo la Cia regionale è fondamentale sviluppare e qualificare la commercializzazione: il produttore ha un interesse primario alla tutela del prodotto, dall’immagine, all’origine al contenuto che viene comunicato al consumatore.

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Se ARA e piani di filiera funzionano è perché la Regione Toscana ci ha messo i soldi. Quello che c’è da fare, dobbiamo farlo insieme. La grande distribuzione mi ha detto che è in condizione di raddoppiare gli acquisti di Chianina, noi possiamo darvi una mano affinché il mondo produttivo sia più compatto, che la qualità sia più omogenea. Bisogna definire insieme delle strategie di sistema per il rafforzamento e rilancio della Chianina In Toscana e mi farò promotore a breve di un tavolo per la messa a punto di un progetto>>. <

Bisogna che le manifestazioni dedicate alla carne Chianina si riversino poi sul piatto, ovvero parliamone, ma incentiviamo anche i consumi ed informiamo nel modo corretto i consumatori>>. <

La norma sull’etichettatura ha aiutato, ma non abbiamo il monopolio del nome Chianina e non ce lo avremo mai. Quindi l’importanza di difendere il marchio di tutela comunitaria IGp del Vitellone bianco dell’Italia centrale è sempre più evidente. Sono pochi i casi di frode, ma vogliamo che questo dato si riduca ulteriormente, con un disciplinare di produzione che sarà sempre più severo e restrittivo>>. <

Dall’Amministrazione provinciale stanno per partire due azioni concrete: a breve saranno installati in tre punti della provincia degli “scarrabili” per lo smaltimento delle carcasse; ed abbiamo avviato un progetto di messa in rete dei nostri punti di macellazione (Colle Val d’Elsa, Sinalunga ed Abbadia San Salvatore) con l’obiettivo di una migliore organizzazione dei servizi omogenei>>. <>. I numeri - Solo negli ultimi tre anni (2009-2011) i capi di razza Chianina sono passati da 21.265 (2009) a 20.354 (2011) mentre erano oltre 22mila nel 2007; il numero di vacche è passato da 9.717 a 9.348, mentre il numero di aziende è passato da 581 a 562.

Sono Arezzo, Siena e Grosseto le province toscane in cui è più consistente l'allevamento della Chianina. Arezzo conta 181 aziende, 2.942 vacche e 6.438 capi; Siena 108 aziende, 2.200 vacche e 5.033 capi; Grosseto 130 aziende, 2.067 vacche e 4.596 capi. Ma per tutte e tre le province l'ultimo triennio è stato in perdita: Arezzo ha fatto segnare un -3,2% di aziende; -2,5% di vacche; -0,2% di capi; Grosseto -4,4% di aziende; invariato il numero di vacche; -3,8% di capi; Siena -0,9% di aziende; -3,6% di vacche; -3,4% di capi. A Terricciola (Pi) sabato 2 giugno: convegno promosso da Cia Toscana, Legambiente e Comune Agricoltura vitale nei piccoli comuni e territori rurali Il presidente Cia Toscana Giordano Pascucci: «In Toscana oltre il 75 per cento dei piccoli comuni conta meno di 5mila abitanti e oltre 90 per cento di questi annovera produzioni enogastronomiche tipiche, preziose e di qualità.

I territori rurali sono da tutelare, promuovere, valorizzare e rilanciare» “I piccoli comuni rappresentano un presidio insostituibile per la tenuta strutturale, culturale e sociale del nostro Paese, soprattutto in un momento di crisi ambientale ed economica come quella attuale”. La Cia Toscana “sposa” alla lettera l’appello dei piccoli comuni italiani lanciato da Legambiente in occasione della manifestazione “Piccola Grande Italia” in programma anche in Toscana nel prossimo fine settimana.

E sabato 2 giugno (ore 10), a Terricciola (Pi) - giardino comunale – si terrà il convegno dal titolo “Il futuro abita qui. Coesione, turismo di qualità, agricoltura”, organizzato da Cia Toscana, Legambiente e Comune di Terricciola. «In Toscana – sottolinea Giordano Pascucci, presidente della Cia Toscana - oltre il 75 per cento dei piccoli comuni conta meno di 5mila abitanti e oltre 90 per cento di questi annovera produzioni enogastronomiche tipiche, preziose e di qualità. Questi piccoli comuni sono il futuro della nostra regione, sono un giacimento di ricchezze culturali, agroalimentari e di tradizioni.

Sono necessarie politiche di sostegno ai territori rurali e periferici per non perdere l’identità e la riconducibilità di prodotti legati a territori e microterritori, che equivarrebbe ad una perdita tangibile in termini economici, oltre che storico-culturali. Nei territori rurali parlare di rilancio e di tutela, significa anche potenziare le infrastrutture, i servizi essenziali fra cui i trasporti, i servizi socio-sanitari, le scuole e la banda larga sempre più indispensabile per le aziende agricole». Bisogna sempre ricordare aggiunge Pascucci, riprendendo l’appello della “Piccola Grande Italia” che «senza il presidio territoriale garantito da queste comunità la nostra Penisola sarebbe meno sicura, che il patrimonio storico/artistico sarebbe più a rischio, ed il Paese sarebbe meno coeso e ricco di identità e memoria storica.

Un esempio concreto di questo modello, senz’altro da seguire – dice Pascucci – è proprio il comune di Terricciola, sia dal punto di vista di coesione sociale, del rapporto amministrazione-cittadini, sia per le pratiche agricole, che per le tante iniziative portate aventi. Si tratta di un tipico esempio di comune virtuoso. Molto del Made in Italy – aggiunge - perderebbe il legame col territorio fattore vincente che rende queste economie non delocalizzabili. Mantenere e rafforzare il presidio dei piccoli comuni italiani significa anche non perdere l’opportunità di un necessario riequilibrio fra aree urbane ed aree rurali, contrastando la concentrazione della popolazione in città sempre più caotiche e con una crescita che va sempre più nella direzione di un illimitato consumo di suolo piuttosto che verso un aumento della qualità della vita per i cittadini.

Ed in tutto questo contesto l’agricoltura e gli agricoltori rappresentano un elemento ed un presidio insostituibile».

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