Percorso per una legge regionale sulla partecipazione: il resoconto degli interventi dell'assemblea del 13 gennaio scorso - Parte 2

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
03 febbraio 2006 18:10
Percorso per una legge regionale sulla partecipazione: il resoconto degli interventi dell'assemblea del 13 gennaio scorso - Parte 2


Nicola Novelli
Presidente dell’Associazione Rete di Comunicazione Democratica
Mi sembra opportuno chiedersi a chi serve questa legge? La costituzione formale del nostro paese si basava sui grandi partiti di massa questi soggetti ‘ruminavano’ sulle istanze provenienti dalla società e poi restituivano le decisioni agli eletti, prendendosi delle responsabilità. Oggi la situazione è molto cambiata, i cittadini si assumono responsabilità impensabili negli anni ‘50 (es. denunciare il sindaco di Firenze alla procura perché ha tagliato degli alberi).


Penso che la legge sulla partecipazione non dovrà essere un elenco dei diritti del cittadino - perché per questo abbiamo già la Costituzione della Repubblica, almeno negli articoli in cui questa non è stata modificata - ma bensì un elenco di doveri istituzionali e di garanzie nei confronti dei cittadini, in modo che questo percorso sperimentale, che desta molto interesse perché si tratta di uno strumento nuovo, non si sgonfi nel giro di due o tre anni. Occorre molta chiarezza metodologica sui percorsi da attivare in termini di flessibilità e di garanzie procedurali e istituzionali, perché la partecipazione può riguardare molti argomenti diversi.

Non si può dire con la legge che cosa si deve decidere, ma è importante che ci siano delle garanzie istituzionali e procedurali che salvaguardino, ad esempio, dalla moda diffusa di accedere ai fondi dell’Unione dedicati all’e-governement per alimentare la vita istituzionale, senza poi rendere conto di ciò che si è fatto in termini politici, ma solo in termini economici. É necessario poi prevedere la figura di un garante per l’accesso alle informazioni che segua costantemente i processi, facendo delle sintesi del percorso che si sta intraprendendo e che rappresenti con oggettività le idee elaborate.

Se questa elaborazione di sintesi la fa l’assessore, che è membro della Giunta, e le Commissioni Consiliari non prendono parte al percorso, il processo non è molto democratico. Un esempio: la settimana scorsa la Provincia di Firenze ha annunciato alla stampa l’avvio di un percorso di partecipazione per inserire nel Piano Provinciale dei Rifiuti la localizzazione dell’inceneritore a Case Passerini. Ma a che cosa serve questo confronto, dal momento che le decisioni sono già state prese? Per decidere il colore della facciata?
A mio parere i percorsi di partecipazione non devono decidere nulla, perché la responsabilità delle scelte rimane a carico delle istituzioni, però ci deve essere interscambio informativo tra cittadini e istituzioni che serve per gestire e governare la condivisione.

È importante, poi, che gli strumenti previsti dalla legge non siano alternativi di altri istituti già presenti negli statuti degli enti. Ad esempio, su argomenti come le pari opportunità o lo sport, esistono già consulte permanenti, quindi non occorre crearne di nuove, mentre mancano istituti di partecipazione sulle questioni più importanti e strategiche, come l’urbanistica o i rifiuti, su cui si fanno percorsi partecipativi delimitati e temporalmente definiti. Altra cosa da considerare è che sarebbe un errore inserire il sito sulla partecipazione isolato nell’angolo dell’home page del sito della rete civica, dove si apre un forum che dura tre giorni, e poi si chiude, perchè occorre più distribuzione e trasparenza informativa, altrimenti i cittadini non partecipano.
Cosa non può fare la legge? La legge non può garantirci il livello di qualità della cultura politica degli eletti che gestiscono i percorsi di partecipazione, anche perché non credo che la legge voglia promuovere corsi di formazione dei politici.

A Firenze, nella scorsa legislatura, l’assessore che aveva la delega alla mobilità annunciò, con un comunicato stampa, la creazione della Consulta sulla Mobilità, definendone gli ambiti operativi e elencando i soggetti della società civile che vi avrebbero preso parte. Ma non si fa così, perché c’è lo Statuto del Comune che regola la partecipazione alla Consulta, si fa un bando e chi ha diritto di accedervi ne prende parte; ma l’assessore in questione era convinto di poter decidere in prima persona e il risultato è stato quello che la Consulta non è stata creata.



Iolanda Romano
La formazione dei politici potrebbe essere un elemento da prendere in considerazione.

Monica Sgherri
Capogruppo del Partito della Rifondazione Comunista della Regione Toscana
Al di là del problema, non secondario, di aver convocato l’assemblea durante l’orario di lavoro, mi sembra che si stia partendo bene in questo processo partecipativo di formazione della legge. Il documento preparatorio di questo incontro è un buon punto di partenza, e raccoglie molte delle riflessioni che tutti noi abbiamo fatto in questi anni.


Per una volta si parte in un lavoro dove si distingue tra democrazia rappresentativa e partecipativa e tra concertazione e partecipazione, ed è un elemento di chiarezza importante rispetto a confusioni, volute e indotte, molto frequenti. La partecipazione non è informazione, consultazione e accesso agli atti amministrativi, che vanno considerati come presupposti. È forte la necessità di definire le forme e le modalità di cessione di sovranità. da parte della politica e delle istituzioni.

Il presidente Martini, dal suo punto di vista, poneva il problema della tempestività delle decisioni per garantirne l’efficacia. Ma sappiamo che oggi la lentezza delle decisioni non è dovuta alla partecipazione, che non c’è stata; quindi se qualcosa non funziona non si può imputare il problema alla partecipazione. Il problema è che in nome della necessità di prendere decisioni si è realizzato lo svuotamento di contenuti della democrazia rappresentativa. Oggi i Consigli Comunali contano molto poco, soprattutto sulle questioni vitali per i cittadini.


I temi che andranno a sostanziare la legge sono importanti, ma è ancora più importante la pari dignità dei soggetti. I soggetti forti, nel senso positivo del termine - non sto parlando di poteri forti - che sono i rappresentanti eletti (sindaco, presidente e Giunta) hanno potere per garantire il rispetto dell’interesse generale, ma anche la partecipazione attiva dei cittadini, per essere credibile ed efficace, deve diventare soggetto forte. Bisogna trovare quali sono le regole e le forme di cessione di sovranità dove la cittadinanza possa essere soggetto forte, altrimenti non si può parlare di partecipazione, ma al massimo di buona consultazione.

L’assessore Fragai dice che è meglio ‘prendere tempo per non perdere tempo’. Sono molto d’accordo, perché se le decisioni sono condivise poi si va avanti più speditamente e in maniera più solida. Nella legge occorre individuare il perimetro entro cui può avvenire questa cessione di sovranità in termini di compartecipazione del processo decisionale. Anche sul caso della Tav in Val di Susa si sarebbe andati più spediti se fossero stati coinvolti i cittadini nelle scelte, invece si è arrivati alla sigla dell’accordo ed è esploso il conflitto con la popolazione residente.

È vergognoso che negli anni passati non si sia costruito il processo partecipativo e ci si trovi adesso a chiedere ai cittadini di prendere decisioni frettolose, è un metodo totalmente sbagliato, non si possono mettere le persone sotto questo ricatto.
La ricchezza sociale che abbiamo in Toscana, in termini di capacità di studio, approfondimento, elaborazione e proposta, può rispondere alla crisi di partiti, associazioni, istituzioni e rappresentanze elettive, con l’obiettivo di annullare il divario tra cittadini ed eletti.

Le istituzioni devono assumersi oggi nuove responsabilità rispetto al buon governo della cosa pubblica, possono dare risposte all’interesse collettivo ad ampia scala, ma rimane ancora scoperta la scala del particolare, quella che richiede attenzione al locale e alla cultura che il territorio esprime. Occorre portare e promuovere progettualità rispetto alle esigenze specifiche dei territori, in modo che i bisogni particolari si coniughino e si fondano con interessi più generali. Quindi progetti di pari dignità e soggetti di pari dignità, per costruire condivisione e radicamento nel territorio, e soprattutto una prospettiva in cui i cittadini diventino i difensori delle scelte.

Luigi Bobbio
Università di Torino
Da quello che ho sentito, soprattutto dagli interventi dei comitati, è emerso chiaramente che fare partecipazione vuol dire aprire fronti di conflitto (es.

la città dei bambini contro la città degli automobilisti, chi vuole l’acqua privata e chi la vuole pubblica, sviluppo sostenibile e sviluppo insostenibile, ecc.). Spesso questo problema non emerge con chiarezza, perché si vede la partecipazione come una sorta di ‘uniamoci tutti’. La Regione Toscana vuole aprire questa sfida e con molto coraggio si propone di confrontarsi pubblicamente sui temi del conflitto, in maniera aperta e trasparente, come abbiamo visto, in parte, anche oggi. I cittadini dicono, ad esempio, che le istituzioni non li ascoltano, non li informano, ecc.

Sono convinto che la qualità del dibattito pubblico in Italia sia molto bassa, sia sulle piccole questioni che riguardano un quartiere, sia sulle grandi scelte come quelle energetiche e infrastrutturali. Nel caso di una legge regionale sulla partecipazione la questione è enorme.
Non ho molto da aggiungere oltre, a parte una breve osservazione sui tempi. Se apriamo dibattiti pubblici inclusivi, incoraggiando al massimo la partecipazione, dobbiamo prenderci tempo su tante cose, come diceva il presidente Martini, oltre l’urgenza dei problemi.

Condivido con altri che mi hanno preceduto l’idea che il decisionismo non fa, di per sé, guadagnare tempo. Per gestire processi così aperti, complessi e conflittuali ci vogliono metodi di vario tipo e processi strutturati, adatti alla specificità delle situazioni e dei contesti e declinati in base agli obiettivi che si intende raggiungere. Si parla di ‘vie della partecipazione’, perché a problemi diversi si risponde attivando processi diversi. In generale penso che i tempi della partecipazione debbano essere lunghi e tranquilli, ma non possono essere infiniti; occorre quindi darsi tempi ragionevoli attraverso processi strutturati, per non rischiare di invalidare i percorsi intrapresi.
Ho un dubbio in merito al margine di operatività di una legge regionale sulla partecipazione, perché penso che una legge possa fare poco sulla materia in questione.

Qualcuno ha detto che deve dare garanzie. Non credo, non può sancire diritti e doveri, e codificare, ad esempio, la possibilità di un cittadino di fare ricorso contro l’assessore che non l’ha consultato. Non si può costringere la partecipazione entro maglie giuridiche. Allora, cosa può fare una legge su questa materia? Potrebbe forse aiutare l’avvio di esperienze, anche molto diverse tra loro, ma senza codificare niente. In positivo penso che la legge può dare avvio a processi di partecipazione strutturati, ma non normati per legge.

Dal momento in cui la Regione Toscana dichiara di essere favorevole ad aprire i processi decisionali alla partecipazione dei cittadini, vuole favorire processi inclusivi e mette a disposizione strutture, mezzi finanziari e competenze. Forse un articolo può bastare, poi la possiamo fare più lunga, ma dobbiamo stare molto attenti, perchè una legge può essere, al limite, anche controproducente, può non essere lo strumento giusto per promuovere e favorire la partecipazione, creando rigidità giuridiche.

È una sfida molto importante, ma oltre alla legge ci sono molte altre cose da fare, parallelamente.

Paola Turio
Vicesindaco e Assessore al Bilancio Partecipato del Comune di Collesalvetti (Li)
Il nostro Comune ha circa 17 mila abitanti, distribuiti su una superficie comunale di dimensioni superiori a quelle del Comune di Livorno. Il territorio è dunque molto ampio, caratterizzato dall’insediamento sparso e organizzato in 8 Consigli di Frazione. Non sono d’accordo con chi ha detto che i Consigli di Frazione non sono importanti, perché su territori molto vasti il frazionamento è tale che richiede una diversa valutazione delle varie realtà.

Ad esempio, noi abbiamo un’ampia zona pianeggiante e un’altrettanto ampia zona collinare, che hanno esigenze del tutto diverse.
Credo che la legge che s’intende costruire dovrà essere una legge non solo partecipata, ma anche dinamica nel tempo, per non ingessare le realtà sociali in trasformazione.
Noi, come Comune, abbiamo avviato dal 2000 processi interlocutori con i cittadini, perché possano partecipare alle scelte dell’amministrazione. Abbiamo fatto un Regolamento che permettesse di partecipare ai Consigli di Frazione elettivi tutte le rappresentanze della comunità, soprattutto i giovani (eleggibilità del cittadini abbassata fino ai 16 anni).

Inizialmente i Consigli di Frazione avevano solo funzione di consultazione, ma si cercò comunque di fare un passo avanti creando la figura di un’assessore di riferimento, che si occupava di coordinare l’attività delle strutture decentrate. Poi, anche attraverso la spinta dei partiti della sinistra più radicale, è maturata l’idea di promuovere esperienze di partecipazione e si è avviato il Bilancio Partecipativo. Sono d’accordo con chi ha detto che i tempi della partecipazione devono essere lunghi, perchè i cittadini devono sapere bene cosa è un Bilancio Partecipativo, ad esempio, altrimenti anche la legge che vorremmo costruire non avrà senso.


Abbiamo predisposto molti luoghi dove potersi riunire, più sedi sparse sul territorio, per costruire una comunicazione di base sulle necessità e priorità individuate dagli abitanti. Il nostro obiettivo è quello di indurre le persone ad esprimere necessità e dare pareri dal basso, sennò non si può parlare di partecipazione ma solo di consultazione. Come diceva Monica Sgherri, solo così si realizza la cessione di sovranità. Nel nostro Comune siamo a questo passaggio: conclusa la fase precedente, attrezzati i Consigli di Frazione con strumenti telematici per favorire la comunicazione su un territorio così vasto, stiamo cercando di attivare la cessione di sovranità, che necessita di tempi e scansioni, necessari anche per la maturazione del cittadino.
La legge partecipata e partecipativa è molto difficile, dovrà dare le massime aperture, non cristallizzare le funzioni, né del cittadino né delle istituzioni, e dovrà adattarsi al mutare delle situazioni sociali e ambientali in cui il cittadino vive.

Camilla Perrone
Ricercatrice dell’Università di Firenze
Vorrei presentare un programma ricerca che nasce da una convenzione tra il Dipartimento di Urbanistica della Facoltà di Architettura di Firenze e la Regione Toscana.

Il titolo della ricerca è ‘Partecipazione e costruzione sociale dei piani urbanistici e territoriali’. La ricerca si propone di costruire degli approfondimenti sulle esperienze, le teorie e i metodi rispetto a questo tema. Illustrerò brevemente le condizioni al contorno in cui nasce questo programma di ricerca, il tema intorno a cui si articola la riflessione e gli obiettivi.
La ricerca nasce dall’esperienza di due enti, il Laboratorio di Progettazione Ecologica degli Insediamenti (Lapei) e la Rete dei Nuovi Municipi (RNM), e s’incentra sul tema del coinvolgimento degli abitanti nelle scelte di trasformazione del territorio su tre livelli: la governance, la partecipazione e l’arte della progettazione interattiva.

I tre livelli sono importanti nella riflessione sulla partecipazione e la nostra ricerca può fare da accompagnamento al processo di costruzione della legge. Le esperienze di partecipazione che abbiamo condotto in questi anni ci hanno portato a individuare alcune premesse e a definire alcuni assunti, come, ad esempio, la necessità di adottare un approccio sperimentale di fronte alla complicazione dei problemi che riguardano il governo del territorio e di adottare forme di conoscenza dei bisogni vicine agli abitanti, che siano in grado di produrre politiche di prossimità.


Gli obiettivi che si pone la ricerca sono:
- costruire un paradigma interpretativo sulle politiche di governance, perché esistono molti approcci diversi su che cosa siano e su come possano essere messe in pratica;
- costruire un quadro aggiornato di esperienze, che considerino in maniera prioritaria la Toscana come terreno privilegiato di sperimentazione, ma si rivolgano anche al resto d’Italia e all’Europa come riferimento per una riflessione più ampia;
- fornire uno strumento finale di sintesi per l’orientamento delle politiche, perché pensiamo che alla luce dell’analisi delle esperienze e delle pratiche, possiamo individuare delle indicazioni utili per le politiche.


Questo progetto di ricerca è stato pensato per affiancare il percorso di costruzione della legge e crediamo che nelle sue fasi di analisi, riflessione e sintesi, possa essere molto utile a questo scopo.

Paul Ginsborg
Laboratorio per la Democrazia
L’assessore Fragai ha parlato di maturità dei cittadini, e ho capito cosa intendeva dire, ma sono sicuro che i cittadini non siano del tutto maturi, come del resto anche i governi nazionali, regionali e locali. Questa è una grande sfida e dalla mia esperienza nel Laboratorio per la Democrazia viene la convinzione che la società civile da sola non ce la fa a migliorare e rinnovare la democrazia, ma neanche i governi, da soli, ce la possono fare.

Si tratta allora di fare in modo che i diversi soggetti, istituzioni e società civile, s’incontrino, scontrino (come ha detto il professor Bobbio) e poi s’ incontrino di nuovo, per giungere ad un livello più avanzato di democrazia. Credo nell’utilità di questa iniziativa della Regione Toscana ma non so, nello specifico, cosa potrà fare una legge. Non ne voglio parlare perché non sono un esperto della materia, ma voglio parlare invece della cultura che sta dietro la legge, perché ‘le parole sono pietre’ e questa legge potrebbe formulare una sintesi più avanzata della cultura della partecipazione.
Parlo di cultura della correttezza amministrativa.

Come risponde la macchina amministrativa ai cittadini? In Toscana le esperienze non sono positive, perché non ci sono codici di comportamento. Quando un assessore riceve un comitato deve comportarsi correttamente, come anche i cittadini devono fare (e non pensare, ad esempio, che il presidente Martini li possa incontrare tutti i giorni). Questa cosa deve essere codificata.
Parlo anche di cultura di pluralità e tolleranza, in contrasto con quello che va combattuto, cioè la cultura clientelare e quella del partito, che è ancora più insidiosa.

Questa cultura si declina in quattro punti:
- bisogna ascoltare gli interessi organizzati, ma anche gli interessi non organizzati e deboli devono essere ascoltati, come sottolinea Magnaghi, e questo deve essere scritto nella legge;
- ci si deve rivolgere anche alle donne, e non solo gli uomini. Il logo che ci viene presentato per la promozione del percorso di legge è declinato al maschile e dice ‘Iopartecipattivo’ e molte donne qui presenti lo hanno fatto notare;
- bisogna ascoltare tutte le generazioni.

Le iniziative dei giovani meritano un’attenzione particolare, perché, anche se talvolta scombussolate, sono molto importanti;
- non si può escludere chi ha idee politiche diverse: la destra deve trovare in questa Regione un codice di comportamento corretto, proprio perché esprime posizioni diverse dalle nostre.
Ho un timore: stamani c’è molto interesse, ma questi momenti non durano; cerchiamo di non produrre da tutto questo ‘un topolino’ ma un cambiamento di cultura. Lavoriamo insieme per questo.

Paolo Francini
Assessore del Comune di Castagneto Carducci (Li)
Quando nel nostro Comune si è deciso di attivare un percorso di democrazia partecipativa, si è costituita una Commissione aperta a tutti i cittadini, perché pensavamo che già nella definizione di questo percorso fosse necessario coinvolgere gli abitanti.

Si sono iscritte 150 persone, tra cui pochi rappresentanti di associazioni e molti cittadini singoli, non portatori di interessi organizzati.
La Commissione ha redatto un documento che è stato approvato dal Consiglio Comunale. Così è iniziato un percorso sperimentale di partecipazione che prevede il Bilancio Partecipativo, ma anche altre azioni di cui non c’è tempo di parlare adesso. La Commissione rimane attiva, con funzioni di monitoraggio, perché in questo anno e mezzo di esperienza abbiamo imparato che la democrazia partecipativa non è un concetto e un insieme di politiche definite una volta per tutta, ma necessita di sperimentazione e valutazione costante.


Quali sono le domande che dobbiamo porci, e che dobbiamo porre soprattutto alla Regione?
- Quanto abbiamo reale volontà di metterci in discussione? Capita spesso che gli abitanti invitati ad esprimerci e a partecipare espongano forti dubbi sulla reale volontà degli amministratori di prendere in considerazione le loro idee ed opinioni. Ad esempio, sulla questione del Corridoio Tirrenico (trasformazione della Variante Aurelia in autostrada): la Regione vuole davvero chiedere ai cittadini cosa ne pensano?
- Come si fa a far decidere i cittadini insieme a noi? La consultazione non basta a convincere i cittadini che stiamo facendo sul serio.

Bisogna che siano chiamati a decidere su cose concrete per essere credibili, come le questioni di bilanci e le opere pubbliche.
- Come si vuole fare informazione e reggere agli errori? Ginsborg ha ragione, noi amministratori non siamo pronti, ma neanche i cittadini lo sono, abituati per anni ad una cultura della competizione e della difesa di interessi personali.
- Quanto vuole la Regione spingere i Comuni per fare in modo che la partecipazione diventi fondamentale? Quanto li vuole premiare, anche per quanto riguarda le risorse, perchè la partecipazione non può essere il ‘parente povero’ delle cose che contano (es.

urbanistica e attività produttive).
- È importante la fase di ascolto sul territorio a partire da ogni Comune disponibile. Ma terminata la fase di ascolto, chi fa la sintesi che poi andrà in Consiglio Regionale? Dovrebbe essere fatta in un’assemblea come questa, e poi mandata in Consiglio per essere votata.
La legge deve prevedere anche il monitoraggio, e quindi ci devono essere dei momenti di verifica di ciò che funziona e cosa no, con la possibilità di cambiare le cose che non vanno.

Vincenzo Striano
Presidente Arci Toscana
Veniamo da anni in cui c’è stato un indebolimento della democrazia, una mortificazione dell’idea di partecipazione alla politica.

Alle istituzioni si deve dire che la partecipazione è tale se rimette in discussione equilibri, se ‘disturba il manovratore’. La partecipazione non è solo concertazione, perché bisogna riconoscere che i conflitti sociali sono un motore straordinario di rinnovamento della società. La politica ha bisogno di partecipazione perché sennò le istituzioni non si salvano dalla crisi della democrazia, come dimostrano tante vicende in cui la politica viene uccisa dall’economia. Occorre chiedersi quanto dell’energia propulsiva dei movimenti sociali sia stato assorbito dalla politica.
La partecipazione non è un processo plebiscitario, bisogna creare reti stabili per evitare il rischio di rimanere nell’apparenza.

Quando portiamo una famiglia Rom su un territorio, sindaci e abitanti reagiscono sempre in maniera negativa, perché c’è una cultura di negazione dei diritti che sta diventando intollerabile verso alcune fasce deboli di popolazione. Bisogna costruire reti territoriali, con associazioni grandi e piccole, per far vivere realmente la partecipazione non come processo plebiscitario, perché la partecipazione deve contare davvero nelle politiche.
Qualcuno ha affrontato il tema della cessione di potere, che è un nodo fondamentale, su cui la legge può dire qualcosa.

Come si costruiscono meccanismi che ci permettano di passare dal modello attuale ad altri modi e luoghi per decidere e fare politica? La domanda è aperta. Inoltre ci vuole qualcosa su cui partecipare, bisogna confrontarsi sull’idea di spazio pubblico e prendere atto che ci sono delle cose della vita pubblica che possono essere decise solo attraverso processi partecipativi (pensiamo alla proposta di legge per la ripubblicizzazione dell’acqua).
Noi, come associazione, vorremmo promuovere le Case del Popolo in Toscana come luoghi che possono costituire dei nodi potenziali di una rete di sperimentazione di pratiche partecipative, anche nell’ottica dell’avvio di laboratori territoriali per la costruzione della legge.

Stefano Cristiano
Assessore alla Partecipazione del Comune di Pistoia
Il nostro Comune ha attivato, dall’inizio del mandato, una rete partecipativa sul territorio che ha coinvolto circa 3000 cittadini in 70 assemblee, nelle quali abbiamo raccolto indicazioni, formulato proposte e concordato priorità, in modo ancora non strutturato attraverso un Regolamento (a cui stiamo lavorando).

Alle assemblee ha partecipato anche la TV locale, che tramite il resoconto dell’esperienza e interviste ai cittadini, svolge un ruolo importante per la diffusione delle informazioni e della cultura della partecipazione a livello locale. Le nostre esperienze partecipative sono:
- Un Contratto di Quartiere, finanziato con 10 milioni di euro e coprogettato con i cittadini; è stato molto interessante vedere come gli abitanti abbiano suggerito ai tecnici importanti elementi di progettazione dei loro luoghi di vita.
- L’Ufficio dei Piccoli Problemi, creato nell’ottica di costruire un rapporto diretto con i cittadini sulle questioni che riguardano la vita quotidiana, senza passare necessariamente per le strutture del Comune, dagli assessori o dai funzionari.
- In prospettiva stiamo lavorando ai Piani Integrati della Salute, che sono un elemento strategico per l’attivazione dei processi partecipativi.
Penso sia necessario formare alla partecipazione non solo gli amministratori, come è stato detto, ma anche i tecnici e i funzionari dei Comuni.
I nodi politici da sciogliere sono:
- bisogna partire da quello che siamo, attingere dalle esperienze che ci sono all’estero ma senza dimenticare la specificità e la grande articolazione dei nostri territori, caratterizzati, ad esempio, da molte e vivaci realtà associative;
- il rapporto partecipativo tra cittadini e associazioni, strutture intermedie in cui molti abitanti sono già attivi;
- il rapporto tra cittadini, associazioni e assemblee elettive; come si modula il rapporto tra assemblee elettive e assemblee partecipative;
- il rapporto tra problemi particolari e interesse generale, tra partecipazione e rivendicazione;
- il rapporto tra il programma di mandato (del sindaco, del presidente della Provincia o della Regione) e le scelte concrete che vengono messe in discussione con la partecipazione;
- bisogna evitare di oscillare tra due estremi: il plebiscitarismo da un lato, che rafforza il potere esecutivo, e partecipazione come mera comunicazione sulle scelte dall’altro;
- se è vero che la politica deve cedere quote di sovranità, discutere e decidere con i cittadini scelte e priorità, è anche vero che i cittadini devono farsi carico dell’interesse generale.

È una crescita collettiva che dobbiamo portare avanti;
- la legge dovrebbe evitare gli abusi dei soggetti forti e tutelare gli interessi delle fasce più deboli, che devono essere rappresentate.
Il nostro Comune sta lavorando ad un Regolamento sulla Partecipazione, su cui vorremmo confrontarci con la cittadinanza attraverso degli ‘stati generali della partecipazione e del decentramento’ che faremo nelle prossime settimane e che propongo anche come occasione di confronto con la Regione e con l’assessore Fragai sul percorso di costruzione della legge, come primo momento di appuntamento decentrato rispetto a questo percorso.

Rossano Pazzagli
Coordinatore Regionale Rete Nuovo Municipio
Questa assemblea costituisce un momento significativo di vita democratica, perché aprire un confronto aperto con la cittadinanza sull’idea di una proposta di legge regionale non è una pratica diffusa nelle istituzioni.


Questa legge pone molti interrogativi, come abbiamo visto oggi e come sottolineato dal professor Bobbio. A mio parere la legge non deve disciplinare, regolamentare, controllare, codificare e normare processi strutturati di partecipazione, che pure sono molto importanti, ma deve consentire, incoraggiare e premiare i soggetti locali, istituzionali e sociali, a costruire codici di comportamento, definire percorsi strutturati, promuovere iniziative. In questo senso è importante anche che la legge garantisca l’erogazione delle risorse necessarie.
Penso che la cosa più utile da fare durante questo percorso di costruzione della legge sia avviare esperienze, fare sperimentazioni.

Striano proponeva la disponibilità le Case del Popolo come luoghi di questa sperimentazione, noi aggiungiamo i nodi locali della Rete del Nuovo Municipio, a partire dai Comuni associati ma non solo, perché la particolarità della nostra associazione è quella di mettere insieme in un unico soggetto realtà istituzionali, realtà dell’associazionismo e dei movimenti, e strutture della ricerca e dell’Università.
Il dibattito pubblico sulla legge è importante, ma potrebbe essere insufficiente se non viene affiancato da un processo culturale che componga la promozione della partecipazione con la sperimentazione di nuovi stili di vita e di sviluppo, anche economico, e la costruzione di nuovi spazi pubblici di decisione.

Quindi, a nostro parere, il percorso dovrà caratterizzarsi sia per l’elaborazione legislativa, sia per l’avvio di un processo culturale su questi temi.
Abbiamo detto: partecipare per che cosa? Per decidere. Ma per decidere cosa, in quale direzione? Siamo sicuri che se la partecipazione funzionasse davvero, otterremo delle scelte che ci portano verso un mondo migliore? L’occasione di riflettere su queste cose, offerta dall’idea di fare una legge, può orientarci anche verso un cambiamento sociale e delle istituzioni.
Ci proponiamo di lavorare in questi mesi per ricomporre delle antitesi, da quella storica tra democrazia rappresentativa e democrazia diretta, a quella tra tempi della partecipazione e tempi della decisione, fino alla frattura più recente, e sempre più forte, tra società e politica, e quindi tra società e istituzioni.

La Regione, impegnata anche sul fronte del rinnovamento istituzionale, deve affiancare il percorso di costruzione della legge con una nuova fase di innovazione istituzionale. La Rete dei Nuovi Municipi è una rete di Comuni, e vede perciò il Comune come nodo fondamentale che lega democrazia dei territori e democrazia dei cittadini; ma talvolta ‘i Comuni da soli non bastano’, e per alcune questioni (come l’urbanistica, la sanità, l’ambiente, ecc.) bisogna tener conto, nella legge, anche dei sistemi locali sovracomunali (Circondari, Province, Comunità Montane).
Noi come RNM, sia a livello di nodo toscano che come rete nazionale, siamo molto interessati a collaborare al percorso di costruzione di questa legge, per unire la riflessione alle pratiche e alle potenzialità dei territori e della società toscana.

Alessandro Agostinelli
Dirigente del Comune di Follonica (Gr)
A Follonica ci sono attività di partecipazione già implementate, grazie all’operato dell’attuale sindaco Claudio Saragosa, che è stato precedentemente assessore all’urbanistica della città, e che ha attivato il Forum Città Futura, relativo a tutta l’elaborazione del nuovo Piano Strutturale.

Adesso il Forum riprenderà con l’avvio della stesura del Regolamento Urbanistico, con attività di ascolto delle proposte che vengono dai cittadini. Da un anno abbiamo iniziato il Forum dei Quartieri e riavviato il Forum delle Culture del Mondo. Naturalmente non si tratta solo di ascoltare le proposte che vengono dagli abitanti, ma anche implementarle poi con azioni concrete. In questo senso i migliori incontri con la cittadinanza sono stati quelli in cui venivano avanzate critiche, anche feroci, all’operato dell’amministrazione, perché in quelle occasioni è emersa con chiarezza la necessità di avviare un percorso di crescita condivisa tra amministrazione e cittadini.


Il problemi più grandi si sono presentati quando abbiamo dovuto comunicare con altri settori istituzionali in merito alla partecipazione dei cittadini, per la forte incapacità di relazione interna ai settori dell’amministrazione. Problema di cui tener conto anche in riferimento a quanto detto dal presidente Martini, a proposito della necessità di estendere lo stesso metodo usato per costruire questa legge anche alle altre leggi regionali e a tutti i settori della vita amministrativa.


Con il Forum dei Quartieri stiamo attivando anche il Bilancio Partecipativo, cercando di andare oltre la concertazione e di coinvolgere anche le persone che non sono abituate ad esprimersi pubblicamente, con contatti diretti e strumenti informatici.
Nel 2006 sperimenteremo il Gioco della Partecipazione, che dovrebbe sintonizzare l’intervento del cittadino con le scelte dell’amministrazione; useremo i Paas, strumenti informatici attivati dalla Regione Toscana. Attraverso un software, che dobbiamo ancora mettere a punto, sarà disponibile una mappa della città e daremo possibilità, attraverso assemblee pubbliche, di proporre progetti, - inizialmente solo di manutenzione e in prospettiva anche di trasformazione - misurandone la fattibilità e l’efficacia tramite dati statistici impostati dal software stesso.

Inizierà il terzo ciclo dei Forum di Quartiere, con assemblee pubbliche che prevedono la convocazione a domicilio, in cui sarà presentato un documento sulle tematiche scelte come oggetto del Bilancio Partecipativo, discusse le idee generali e distribuite schede per raccogliere le proposte dei cittadini. Il tentativo di fare il Bilancio Partecipativo non è nuovo, altri comuni d’Italia, come Pieve Emanuele e Grottammare lo stanno sperimentando da tempo.
La nostra amministrazione crede molto nella partecipazione attiva dei cittadini e sta tentando di metterla in atto con molto impegno.

Franco Quercioli
Vice Presidente dell’Archivio dei movimenti di quartiere di Firenze
L’archivio che stiamo costituendo si muove in più direzioni:
- curare il reperimento della documentazione relativa all’esperienza di partecipazione più interessante per Firenze, che va dal 1966 al 1976, cioè da quando, in occasione dell’alluvione, nascono i primi comitati di quartiere fino al momento in cui si istituiscono i Consigli di Quartiere.

Firenze è stata la prima città d’Italia ad avere i Consigli di Quartiere elettivi;
- raccogliere la documentazione dei comitati che sono nati dopo quel periodo e di quelli che si formano adesso, che sono di tutti i tipi, che nascono e muoiono, ma che costituiscono un elemento da osservare e studiare e su cui costruire una cultura della partecipazione che abbia consapevolezza delle proprie radici storiche.
Con il Comune di Firenze e la Regione Toscana stiamo lavorando ad un progetto che prevede, per novembre 2006, tre iniziative sulle radici della partecipazione: una mostra sul periodo ’66 -’76, una pubblicazione e un convegno che mette in relazione passato, presente e futuro della partecipazione.

Per noi l’alluvione fu il momento in cui i fiorentini ripresero in mano il loro destino nel senso dell’ autorganizzazione, dando avvio ad un’esperienza importante per la vita e la cultura politica della città, che per lungo tempo ha costituito l’ossatura della democrazia partecipativa a Firenze, che è poi sfociata nel recente Social Forum Europeo.
La nostra città aveva nei cromosomi la partecipazione e noi consideriamo l’archivio non come un luogo dove si raccolgono documenti, ma come un laboratorio dove ci si confronta sul passato, si riflette sul presente e si discute del futuro.

È un modo nuovo di concepire gli archivi, perchè il nostro compito non è fare gli storici, ma fornire agli storici, e a tutte le persone interessate, dei punti di riferimento per la riflessione, lo studio e la discussione.

Giancarlo Paba
Università di Firenze
Molti hanno detto che la partecipazione c’è già, e allora, visto che le persone si organizzano spontaneamente e elaborano in maniera autonoma strategie per risolvere i problemi, perché sancire la partecipazione con una legge? Ma forse bisogna guardare a forme di partecipazione che non ci sono ancora.


La Toscana, che pure è una Regione molto attiva e ben organizzata, trascura alcune zone opache, socialmente e territorialmente, e non riesce a riconoscere intelligenze che rimangono fuori dalle reti ufficiali di partecipazione. Occorre mettere a punto strategie inclusive che siano in grado di illuminare queste zone opache. Esiste un’incapacità del sistema amministrativo e di governo di valorizzare l’intelligenza diffusa nella società. La partecipazione deve essere bambina, femmina, straniera, handicappata, altrimenti si può dire tale.


Un altro elemento di criticità è stato sottolineato da Ginsborg a proposito dell’assenza della destra, che anch’io valuto come un pericolo. Ma non credo che il problema sia parlare di partecipazione con chi non la pensa come noi, perché la partecipazione non è una cosa di sinistra, non riguarda la politica e i partiti, ma il rapporto tra istituzioni e società civile. È il luogo in cui le appartenenze non contano, dove le persone partecipano a titolo personale, con i loro problemi.

Se sei rivoluzionario hai il fucile sottoterra, se sei capitalista giochi in borsa, ma dentro un processo partecipativo vuoi risolvere il problema della ricostruzione dello spazio pubblico di discussione sulle scelte da compiere. Sono preoccupato che la partecipazione sia pensata come una cosa di sinistra, perché la sinistra ha la tendenza al monopolio retorico delle tematiche. Mi correggo, gli uomini di sinistra hanno questo monopolio (es. sulle pari opportunità: gli uomini di sinistra ne parlano molto, ma poi nella realtà nessun rappresentante femminile della sinistra riveste ruoli di responsabilità in politica).
Per riprendere poi quello che ha detto Annalisa Pecoriello, uno dei problemi principali su cui la legge può agire è come chiudere il circuito tra esperienze di partecipazione e realizzazioni concrete.

La partecipazione è diventato un discorso totalitario in Italia, perché da noi quando si scopre un tema se ne fa un gran parlare ma poi non si realizza niente, mentre all’estero, dove se ne parla molto meno, le cose vengono fatte davvero.
La legge può incentivare, sostenere e promuovere la partecipazione, ma forse ‘più che fare può disfare’. Disfare le cose che non funzionano, come la distribuzione settoriale delle competenze all’interno della macchina amministrativa. Dalle esperienze di progettazione partecipata con i bambini, che riguardano soprattutto l’uso delle strade e dello spazio pubblico, il problema emerge con estrema chiarezza: lo spazio pubblico è per sua natura integrato, fatto di spazi aperti, architetture, natura, percorrenze, colori, materiali, ecc., mentre la gestione di questo stesso spazio pubblico è la più settorializzata delle attività.

Quando i bambini progettano una strada la pensano in maniera integrata, ma quando l’amministrazione prende in mano il progetto lo frantuma, lo separa e alla fine non lo realizza. Quindi occorre ripensare completamente le macchine amministrative.

Cristina Pinazzi
Segretaria Associazione Ambiente e Lavoro
Propongo alcune note di sintesi relative al documento sul percorso di costruzione della legge regionale sulla partecipazione. Per quanto riguarda la partecipazione dei cittadini e delle loro rappresentanze ci sono molti problemi in Toscana:
- è necessaria una riforma della concertazione, perché anche nel recente Patto per lo Sviluppo di nuovi lavori si è riscontrato un’inefficacia delle procedure, nell’individuazione delle priorità e soprattutto nel sistema di valutazione;
- è necessario recepire la Direttiva Europea sulla partecipazione dei cittadini, la n.

35/2003;
- l’apparato normativo della Regione Toscana contiene già leggi che in parte disciplinano la partecipazione, a partire dalla n. 49/2001, legge sulla programmazione, che fa esplicito riferimento a strumenti di partecipazione e valutazione strategica per il coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali, strumenti che non sono stati ancora ben definiti;
- la legge n. 1/2005 in materia di governo del territorio prevede specifici strumenti di partecipazione, che non sono coordinati con quelli previsti dalla legge n.

49 citata prima;
- bisogna considerare la Direttiva Comunitaria n. 42/2001, che prevede la valutazione strategica di piani e programmi dal punto di vista ambientale, facendo esplicito riferimento alla partecipazione di tutti i soggetti, sociali ed economici, e degli interessi diffusi, e stabilendo quindi che le decisioni strategiche dovrebbero essere partecipate.
La nuova legge che sarà elaborata dovrà prendere in considerazione le indicazioni esistenti e coordinare tra loro i diversi strumenti di partecipazione già previsti.

Massimo Morisi
Università di Firenze
Sono tra quelli che hanno dubbi sull’opportunità della legge.

Nelle leggi toscane ci sono molte tracce del tema della partecipazione, a partire dallo Statuto, che ha un elemento innovativo laddove elenca i diritti che connotano il senso di cittadinanza e gli strumenti che garantiscono questi diritti. Non è concettualizzata la nozione di partecipazione, ma c’è l’idea che la partecipazione dia efficacia e qualità alle politiche pubbliche. Si apre quindi una prima questione, che non so se sia risolvibile mediante una legge. Considero un po’ astratta l’idea che una legge possa indurre comportamenti partecipativi nei Comuni, se non predisponendo strumenti, incentivi e procedure che ingabbiano le pratiche.
Spesso si scambia per partecipazione una forma di legittimazione delle politiche a fronte di conflitti considerati inevitabili.

Le nostre politiche pubbliche sono strategie fortemente conflittuali, tanto che al loro interno è difficile distinguere il particolarismo dalla generalità degli interessi. Se guardiamo a tutto l’ordinamento legislativo toscano (legge n. 1/2005, Statuto, ordinamento socio-sanitario, politiche per la formazione e il lavoro, ecc.) troviamo strumenti da coordinare tra loro non tanto sul piano normativo, ma su quello delle buone pratiche amministrative. È sempre stato un difetto generale nell’affrontare questo tema fermarsi sulla soglia della formazione delle decisioni, ma la cosa importante è come si realizzano le decisioni.

Mi interessa, ad esempio, sapere come sarà messo in opera il Piano di Sviluppo della Regione e se presenterà livelli di conflittualità che necessitano di strategie di ascolto, confronto e decisione sul piano attuativo, che non erano prevedibili al momento dello sua stesura.
Se si vuole parlare di partecipazione occorre fare uno sforzo culturale, avviando un ripensamento profondo della cultura professionale della classe politica, come presupposto concettuale affinché si intenda la partecipazione come deliberazione, e non come decisione negoziata.

Invece le nostre classi politiche cercano di introdurre elementi di partecipazione intesi come strumenti di mitigazione preventiva del conflitto che si può manifestare.
Non credo che tutto l’apparato legislativo regionale possa essere attraversato da questo tipo di pratiche, ma ci sono temi molto delicati (come l’infrastrutturazione del territorio, il problema dei rifiuti, ecc.), che si potrebbero affrontare non tanto con una legge generale, ma con il progetto di processi decisionali partecipativi basato sul confronto di soluzioni alternative ai problemi.
Dobbiamo superare in Toscana l’idea del coordinamento come prevenzione del conflitto, immaginando il coordinamento come elemento di valorizzazione di soluzioni a cui il conflitto non aveva fatto pensare.

Giorgio Pizziolo
Università di Firenze
Tre telegrammi.

Il primo si chiama partecipazione vertenziale: nel Comune di Firenze sono nati 50 comitati contro l’amministrazione, che li ha combattuti duramente non concedendo loro nessuno spazio; quindi siamo nel caso della partecipazione negata e poi rimessa in piedi come partecipazione falsa con i Forum dell’urbanistica che sono una presa in giro, una parodia della partecipazione. Mi chiedo allora come può una legge garantire che la partecipazione dal basso sia presa in considerazione anche se è conflittuale con le scelte dell’amministrazione e fare in modo che la ‘partecipazione oppio dei popoli’ sia evitata.
Il secondo telegramma si chiama partecipazione costruttiva: oltre ai modelli di partecipazione che stimolano la cooperazione alle scelte, ci sono quelli orientati alla costruzione di qualcosa, a una partecipazione che progetta.

Prendiamo ad esempio il rapporto tra paesaggio e partecipazione, come inteso nella Convenzione Europea del Paesaggio, che parla di paesaggio partecipativo, cosa che in Italia nessuno conosce. In Francia c’è l’Action Paysager che interpreta il paesaggio come azione diretta sul territorio. Altro esempio è quello della riscoperta dell’uso civico come rapporto uomo- territorio, dove la popolazione è padrona del proprio territorio e lo gestisce. È un aspetto importante, perché non basta prendere decisioni in maniera partecipata, ma si deve anche gestirle direttamente.

L’uso civico risale alla preistoria, è una forma di gestione collettiva del territorio e delle risorse che deve essere rilanciata e difesa, e che invece sta scomparendo dai nostri territori.
Terzo telegramma. Ho delle perplessità sul fatto che sia giusto fare una legge. Potremmo pensare a qualcosa come la ‘costruzione di un quadro di riferimento per le sperimentazioni’, oppure a un ‘programma per definire le modalità con cui sollecitare, finanziare, e monitorare le esperienze per verificarle’.

Dico questo perché la partecipazione è una cosa viva, che procede per cicli e per salti, che nasce, muore e si riforma in modalità sempre nuove, che non può essere rinchiusa in moduli e istituita. In questo senso temo anche le Agende 21, che sono gabbie che non garantiscono la partecipazione reale. Temo quindi una legge che diventi un blocco, mentre sono molto favorevole ad un atto regionale che promuova la partecipazione. La legge mi sembra una contraddizione in termini. Se dobbiamo fare, come ha detto Martini, la partecipazione per costruire la legge, allora non è detto che poi, alla fine, si decida per forza di fare la legge, la prospettiva rimane aperta altrimenti condizioniamo il nostro operare.


Un’ultima osservazione: credo che non abbiamo bisogno di facilitatori, che sono un’istituzione sbagliata, perché la partecipazione deve essere crescita collettiva delle persone, altrimenti è inutile farla.

Sabrina Benenati
Assessore alle Attività Produttive del Comune di S. Gimignano (Si)
Vorrei iniziare con una domanda: chi decide il destino di una città? Una cosa è progettare una piazza o un parco pubblico, ben altra avere un’idea complessiva del futuro di una città.

S. Gimignano è una città difficile, delicata, in cui il mercato e l’economia sono fattori trainanti, ma non per questo si può perdere il senso del tessuto civico della città, della sua storia e della sua cultura. Partirà nei prossimi mesi un progetto pilota nel nostro Comune, costruito a partire dalla definizione di una griglia di valori/principi, in parte già esistenti e riconoscibili, come il territorio, la qualità e tipicità dei prodotti locali, la solidarietà, il rispetto dell’ambiente, ecc.

A partire dal riconoscimento di questi valori ci si propone di coinvolgere tutti i soggetti, e non solo quelli economici, anche se sul territorio si vive soprattutto di turismo. Cercheremo di coinvolgere chi non avrebbe voce e titolo a partecipare, bambini compresi, coinvolgendo anche le scuole. Il progetto porterà, attraverso l’elaborazione di questionari e griglie di valutazione, alla definizione di standard utili alla costruzione di un laboratorio d’eccellenza, a cui possono accedere tutti, a qualunque titolo.

Sono previsti anche interventi di informazione, formazione, fornitura di servizi per l’ accompagnamento del progetto, che coinvolgono le categorie economiche al fine di avere il loro sostegno e rendere riconoscibili coloro che hanno aderito al progetto. Il processo non si esaurisce in sè stesso, perché una volta concluso sarà rielaborato e saranno rivisti gli standard.
Vorrei finire con una frase di Calvino: di una città quello che godi non sono le sette o le settanta meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda, oppure la domanda che ti pone obbligandoti a rispondere.



Moreno Biagioni
Anci – Consulta Immigrazione
Vorrei notare in questa prima assemblea alcune mancanze: quella, già citata, dell’ottica di genere, e quella dell’attenzione dei nuovi cittadini e cittadine. Bisogna fare in un altro modo e includere le nuove forme di cittadinanza, che non sono mai rappresentate neanche nelle istituzioni perché non hanno neanche il diritto di voto. Su questo la Regione sta lavorando ad una nuova legge, per dare anche agli stranieri il diritto di voto, ma nel frattempo occorre aprire il più possibile i processi partecipativi a tutti.

Sono d’accordo con Paba, quando dice che la partecipazione non è di destra o di sinistra, ma non condivido l’ipotesi di lasciare fuori le idee. Il cartellino con su scritto ‘fuori la politica’ si mette nei condomini, ma non nei processi partecipativi come quelli che si vuole attivare con l’assemblea di oggi.

Agostino Fragai
Assessore alla Partecipazione della Regione Toscana
Credo che il taglio che è stato scelto per questa assemblea si sia dimostrato di estrema apertura.

Oggi si sono confrontate opinioni anche molto diverse tra loro e espressi giudizi, anche forti, sul modo di operare delle pubbliche amministrazioni. Sono emerse prospettive diverse anche su quanto riguarda l’opportunità di fare questa legge. Vorrei spiegare il nostro approccio, come Regione: non pensiamo ad un’operazione che dia un po’ di sostegno a ciò che esiste, ma al completamento di un processo che per la Toscana è molto più vasto. Nei prossimi mesi, per ricollegarmi all’intervento che mi ha preceduto, faremo una legge per consentire il voto alle elezioni regionali ai cittadini immigrati.

Quindi la legge sulla partecipazione non è un intervento isolato e settoriale, ma riguarda un’idea di democrazia, che cerchiamo di costruire mattone su mattone. Parlare di questa legge ci serve per definire poi, alla fine di questo anno di lavoro, se davvero un quadro normativo su questa materia è utile oppure no, o se serve un altro strumento. Siamo disponibili a confrontarci su questo, infatti non vi abbiamo presentato una bozza o una scheda che suggerisse già i contenuti della legge. Oggi è emerso un punto fermo, un eventuale articolo della legge su cui siamo tutti d’accordo: la Regione deve impegnare dei soldi sulla partecipazione.

Se poi questo sarà stabilito con una delibera o farà parte di una legge, lo definiremo in seguito.
Confido molto sul vostro contributo per mettere in rete cose che già esistono, per farle conoscere. Tutto ciò che abbiamo sentito oggi e quello che scopriremo nei prossimi mesi ha bisogno di un progetto per essere messo in rete. L’obiettivo finale è far diventare la partecipazione un tema di discussione politico-istituzionale all’interno degli esecutivi e dei governi locali, e non un tema settoriale.

La pubblica amministrazione, per come è organizzata, ha difficoltà a rispondere agli input politici, figuriamoci se questi input politici sono deboli. Se il tema della partecipazione non è assunto dal governo di una comunità, ma solo da una parte di esso, la macchina amministrativa non risponde, e procede nel suo lavoro senza tenerne conto.
Altro tema emerso è quello dei tempi della partecipazione: sono un problema da risolvere, d’ora in poi dovremo considerare gli orari di lavoro delle diverse categorie e le esigenze della popolazione, e questo riguarda anche l’ottica di genere.
Concludiamo oggi il nostro incontro, faremo poi il lavoro sul territorio e il convegno di maggio con l’ambizione di far partecipare più persone possibile.

Il tema della democrazia non è di sinistra, ma di tutti. Se quest’assemblea è al 95% partecipata da persone di sinistra, avremo molto da fare in seguito per coinvolgere anche chi non la pensa come noi. Analogamente, se qui ci sono comitati, associazioni e piccoli Comuni e mancano le grandi organizzazioni economiche e sindacali, non va bene, e in seguito dovremmo impegnarci in maniera diversa per coinvolgere anche questi soggetti.

Gian Piera Usai
Dirigente Ufficio di Roma della Regione Toscana
(Contributo scritto)
‘Le vie della partecipazione’ sono lunghe e difficili.

Con questa battuta si può sintetizzare la complessità sottesa al tema. Essa comporta l’acquisizione di comportamenti che non sono genericamente diffusi e che devono essere frutto di lungo esercizio per incanalarlo nella direzione di ‘partecipazione attiva’.
Premesso questo, credo che il punto di partenza debba essere quello indicato dall’assessore Fragai nella sua relazione introduttiva e cioè cosa è cambiato e sta cambiando dopo la riforma del titolo V della Costituzione. Si è parlato molto del nuovo ruolo e delle nuove competenze delle varie istituzioni, sia centrali che locali, ma niente o poco è stato detto su come, queste riforme, cambino il ruolo di noi cittadini.

Come esemplificazione si richiama il nuovo art. 118 della Costituzione che al 4° comma afferma che lo Stato, le Regioni, le Città metropolitane, le Province ed i Comuni favoriscono l’iniziativa dei cittadini, singoli ed associati, per lo svolgimento di attività d’interesse generale. Il concetto non sarebbe nuovo, ma nuova è l’idea che a tutti i livelli istituzionali debbano essere intraprese azioni per favorire la partecipazione dei cittadini. Nel riflettere su come darvi attuazione, credo che la prima valutazione vada fatta analizzando qual’è la situazione attuale.
Questa valutazione faciliterà l’individuazione del percorso che deve essere fatto.
Seguendo questo iter e facendo un’autoanalisi, penso che si possa affermare che due sono le funzioni consolidatesi nel tempo:
- Cittadino elettore.

Con l’introduzione dell’elezione diretta del sindaco, si è accentuato il potere e la portata della volontà del cittadino, non solo nell’individuare il candidato sindaco, ma anche nel determinare il peso che ciascuna forza politica avrà all’interno del Consiglio, i rapporti tra maggioranza ed opposizione, la presenza o meno di certe persone. Insomma è portatore di un grande potere che sempre più tende ad esercitare (vedi le primarie). Dall’altro lato, gli stessi programmi elettorali passano da generiche promesse ad ‘un fare’ ad impegni concreti sul ‘cosa fare’ ed in che tempi, quindi diventano veri e propri contratti con gli elettori.

Questo dovrebbe portare a stabilire momenti di verifica con i cittadini più puntuali sui risultati ottenuti, ma anche sull’appropriatezza dei percorsi per raggiungere tali risultati. Quindi l’incidenza ed il peso delle opinioni e delle opzioni deve essere esercitata durante tutto il mandato attraverso libere forme associative, costituzione di organismi di partecipazione che favoriscano la presentazione di istanze e proposte per la tutela di interessi collettivi: insomma, un’amministrazione fondata sulla collaborazione di tutti i cittadini e non solo di quelli sensibilizzati dalle associazioni.
- Cittadino con facoltà di ‘mugugno’.

Dopo il voto è molto praticato l’istituto della lamentela su tutto ciò che non va e ciò che non ci piace nell’attività posta in essere dalle persone che abbiamo votato; raramente il mugugno sfocia in comportamenti propositivi e quasi sempre attraverso formule associate dei cittadini. Con le attuali riforme, le due funzioni classiche si sono arricchite di nuove potenzialità, ma soprattutto di nuove identità.
Questo presuppone che la elaboranda legge dovrebbe contenere due principi fondamentali:
- Diffusione della cultura della partecipazione.

Questa non può essere fondata solo sui gruppi già organizzati, ma dovrebbe diventare consapevolezza diffusa di tutti i cittadini e stimolo a passare dalla politica del mugugno a quella della proposta. Quindi come ‘dare voce a tutti’.
- Diffusione della politica dell’ascolto. Questo dovrebbe essere realizzato a tutti i livelli istituzionali e tra tutti i livelli istituzionali, ma anche ai livelli ‘tecnici’. E’ notorio che il politico è più sensibile all’ascolto delle istanze dei cittadini e questo è un esercizio abbastanza consolidato; meno diffuso è l’esercizio dell’ascolto fattivo dei cittadini da parte degli apparati amministrativi.

Quindi andrebbe diffusa questa abitudine anche a livello tecnico.
Altre vesti del cittadino sono:
- Cittadino cliente. Questa è la dicitura più diffusa ed utilizzata dalle pubbliche amministrazioni per segnalare la nuova attenzione verso i propri amministrati. Il concetto dell’attenzione al cittadino come utente è ricorrente come innovazione dell’agire amministrativo. Da qui il bisogno di rilevare – periodicamente – il grado di soddisfazione/insoddisfazione dell’utente e l’orientamento ad adottare ‘carte dei servizi’ tese a fissare gli impegni che il soggetto erogatore assume nei confronti dei cittadini, individuando standard di qualità, strumenti di controllo e forme di indennizzo in caso di inadempienza e diritto di scelta tra più possibilità.
- Cittadino e tecnologia.

Si sta avviando la gestione, tramite computer, dei procedimenti e quindi si sta avviando un sistema di ‘controllo da casa’ dell’iter procedurale delle pratiche. Questo dovrebbe generare comportamenti diversi anche da parte della macchina amministrativa.
- Cittadino e informazione. Anche qui sono stati fatti dei progressi sulla trasparenza e l’informazione ai cittadini. L’istituzione del Difensore civico ha introdotto un elemento di rafforzamento nella tutela dei diritti dei cittadini.

Forse è arrivato anche il momento di introdurre il concetto di un ‘rapporto conciliativo’ tra istituzione e cittadini in caso di conflitti e di istituire la figura del conciliatore come risolutore dei conflitti.
- Cittadino contribuente. Questa è la leva più forte su cui misurare le scelte e la loro attuazione tra amministratori ed amministrati. Con la crescita dell’autonomia fiscale, i primi diventano i veri artefici delle scelte di sviluppo e di fornitori di servizi ed i secondi i fruitori di servizi e di sviluppo locale correlato alla partecipazione contributiva accordata all’istituzione.
Queste brevi riflessioni sono un primo contributo per aiutare ad individuare e definire meglio le vie della partecipazione.

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