Cancro: se la diagnosi è troppo precoce

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
16 novembre 2005 14:48
Cancro: se la diagnosi è troppo precoce

Firenze – Per il tumore alla mammella le stime sono relativamente contenute: 5-10%. Ma per quello alla prostata sono invece altissime, addirittura 25-50%. Ovvero: da un quarto alla metà dei casi di cancro alla prostata verrebbero curati senza un effettivo bisogno, dal momento che non arriverebbero mai a manifestarsi in forme aggressive e letali.

Sovradiagnosi: grave quanto imprevisto, ecco il problema che sta cominciando ad angosciare la moderna medicina tecnologica e sul quale hanno discusso per due giorni a Firenze 40 tra i maggiori specialisti mondiali, in un convegno organizzato in collaborazione tra American Cancer Society, Institute of Cancer Research britannico e Centro per lo Studio e la Prevenzione Oncologica (CSPO), struttura di riferimento dell’Istituto Toscano Tumori.

“Per sovradiagnosi”, ha spiegato Marco Rosselli Del Turco, direttore scientifico del CSPO, presentando oggi alla stampa i risultati del convegno, “si intendono le diagnosi precoci di lesioni tumorali che, seppure confermate istologicamente, non sarebbero mai state diagnosticate se l’interessato non si fosse sottoposto al controllo preventivo”.



In altre parole: le moderne tecnologie consentono di salvare moltissime vite identificando con larghissimo anticipo forme tumorali e addirittura pre-tumorali (per esempio gli adenomi del colon o le displasie della cervice uterina). Non sono però capaci di dire se un tumore allo stadio iniziale progredirà o meno verso forme clinicamente patologiche. E nell’incertezza ecco che scatta comunque il trattamento.

“E’ un concetto difficile da comprendere”, ha detto l’oncologo Robert Smith (American Cancer Society), “ma è basato su nozioni di patologia e biologia molecolare e su modelli di stima epidemiologica.

La sovradiagnosi determina necessariamente un sovratrattamento e quindi costi umani e sociali spesso importanti. Si pensi ai carcinomi polmonari o della prostata, i quali richiedono non di rado trattamenti altamente debilitanti con complicanze invalidanti. Paradigmatico è il rischio di incontinenza urinaria e impotenza sessuale conseguenti alla prostatectomia. Quanto ciò incida sui bilanci delle strutture sanitarie non è ipotizzabile con esattezza, ma si tratta certamente di cifre enormi”.

Sulla base delle evidenze scientifiche disponibili, il convegno ha cercato di quantificare il peso del fenomeno, per molti aspetti inedito e inatteso.

E’ un problema decisivo, ha detto Rosselli Del Turco, comprenderne le implicazioni per la sanità pubblica così come stabilire metodi adeguati per ricavare stime quantitative accettabili. Ad esempio, nel tumore della mammella la sovradiagnosi sembra riguardare il 5-10% di casi in eccesso rispetto a quelli normalmente attesi. Ciò significherebbe che ogni 100-200 donne che effettuano screening regolari si possa diagnosticare 1 tumore che non sarebbe altrimenti mai comparso clinicamente.

“Nel cancro della prostata”, ha specificato Eugenio Paci, epidemiologo clinico del CSPO, “la sovradiagnosi potrebbe essere molto più alta, nell’ordine del 25-50%.

Ciò spiegherebbe buona parte dell’incremento della casistica registrata negli ultimi anni nei paesi occidentali. Le implicazioni di questo problema sono notevoli e vanno ben oltre gli screening oncologici. Da qui l’esigenza di elaborare su questo tema controverso un documento finalmente condiviso da tutti gli esperti internazionali, valutando più sedi tumorali e cercando di cogliere somiglianze e differenze tra le diverse neoplasie”.

Lo screening per la cervice uterina e quello per il tumore della mammella rappresentano ormai esperienze ben consolidate, organizzate su base nazionale in molti paesi europei, e si stanno diffondendo anche in Italia.

In base ai dati raccolti dall’Osservatorio Nazionale Screening, Rosselli Del Turco ha ricordato che in Italia oltre il 65% della popolazione femminile tra i 50 e i 69 anni viene invitata allo screening mammografico e oltre il 60% tra i 25 e i 69 anni allo screening citologico per il tumore della cervice.

In Italia si stanno inoltre diffondendo altri programmi di screening, già validati come quello per i tumori del colon-retto, o ancora in fase di valutazione come quello della prostata, attraverso un semplice esame del sangue (PSA), senza che sia disponibile un’attenta riflessione sul rapporto costo/efficacia.

In Toscana questi programmi hanno già coinvolto circa 400 mila donne con consistente impegno economico della Regione (circa 12 milioni di euro) che ne ha fatto uno degli obbiettivi prioritari per il Piano Sanitario Regionale 2005-2007.

A questi dati vanno aggiunti gli esami che le donne effettuano spontaneamente con finalità preventive.

“Anche in Italia”, ha concluso Rosselli Del Turco, “i programmi di screening hanno sempre affiancato alla proposta di intervento di diagnosi precoce un’accurata valutazione dei possibili effetti negativi. L’informazione e la scelta consapevole sono obiettivi difficili, ma essenziali sui quali è necessario accrescere l’investimento culturale ed economico. Le informazioni scaturite da questo convegno sono utili elementi di riflessione per il Servizio Sanitario che deve tenere in debito conto non solo i successi della medicina predittiva, ma anche i possibili effetti negativi”.

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