Ieri al piazzale la Notte della Taranta: contaminazione sì, ma con giudizio
Domani gli Air

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
08 luglio 2004 13:35
Ieri al piazzale la <I>Notte della Taranta</I>: contaminazione sì, ma con giudizio<BR>Domani gli Air

La "Notte della Taranta" è un grande festival musicale nato nel '98 in Salento, nel quale il recupero della musica salentina nelle sue varie forme si fonde con l'utilizzo di linguaggi musicali del tutto diversi (su una base in cui predominano sonorità world-music, s'intrecciano elementi jazz, rock e perfino classici), nel tentativo di aprire la strada a una sorta di "meticciato musicale", che con parola ormai abusata può essere per comodità definito "contaminazione". Questa caratteristica peraltro è relativa soprattutto alla serata conclusiva dell'evento, che si svolge a Melpignano, nel cuore della Grecìa Salentina, poco oltre la metà di agosto.

Infatti, nelle precedenti serate, per una decina di giorni circa, nei vari paesi della Grecìa si esibiscono alcuni dei più importanti gruppi di "riproposta" della musica tradizionale salentina, ormai numerosissimi, ognuno dei quali può quindi singolarmente mostrare le proprie modalità di riadattamento del ricchissimo patrimonio musicale del Salento. Tuttavia, la parte del festival che fa più parlare di sé, guadagnandosi gli spazi maggiori sui giornali, è appunto la serata finale di Melpignano, con il suo "concertone" conclusivo.

Nella scorsa estate l'evento ha avuto un tale successo che si è pensato di trasformarlo in festival itinerante, fuori dai confini salentini, la cui prima tappa è stato appunto il concerto di ieri sera al Piazzale Michelangelo, a Firenze.
Grandi nomi sul palco. Il più famoso era senz'altro Stewart Copeland, l'ex batterista dei Police, che fu maestro concertatore nell'ultima edizione salentina, mentre ieri la direzione artistica era affidata al pianista e tastierista Vittorio Cosma. Era presente la calda e intensa voce dell'ex Alma Megretta Raiz, con Mauro Pagani, grande musicista e poli-strumentista, in veste di ospite speciale.

Molti altri bravi musicisti sul palco, salentini e non, fra cui spiccava l'ottimo chitarrista dei Ghetonìa Emanuele Licci.
In scaletta l'esecuzione di vari pezzi classici del repertorio salentino, fra cui le pizziche "Lu tamburieddhu miu vinne de Roma", "Ahi lu core meu", "Rirollala", il canto rievocatore di antiche leggende di amori e principesse "Lu rusciu de lu mare", la famosa serenata grika "Kalinìfta", interpretata ormai da tutti i "ripropositori" di musica salentina, in quanto la sublime melodia e il travolgente ritornello le fanno assumere, a mio avviso, una portata universale; e molto altro ancora.

"Kalinìfta", forse per la sua bellezza inattaccabile, è stato il pezzo interpretato nel modo più "purista" di tutto il concerto.
Prendendo spunto da quest'altro aggettivo piuttosto abusato, nell’'eterna diatriba "purismo"-"contaminazione", ecco un argomento che meriterebbe ulteriori approfondimenti. Si sa che nella storia della musica la "contaminazione", o meglio la fusione con linguaggi musicali diversi, è sempre stata presente: i popoli si sono sempre incontrati e, ahimè, scontrati, ma il contatto, talvolta, ha prodotto risultati anche fecondi.

Perfino scavando nelle etimologie dei nomi di alcuni strumenti, si possono individuare antiche stratificazioni. Il liuto ha alla base la parola araba "'ud", che è tutt'oggi un importante strumento nel mondo arabo, e la chitarra vede ancora protagonista l'arabo, con "qithar", che si ritrova poi in area indo-iranica con i vari "sitar" (indiano), "setar" e "tar" (persiani). Se poi non c'è contatto con altre tradizioni, può verificarsi il riutilizzo su vasta scala, e quindi la definitiva appropriazione, di strumenti fino a quel momento poco o per niente usati, che quindi paiono "nuovi" senza esserlo in realtà: basti pensare all'uso ormai invalso nella musica tradizionale sarda dell'organetto, oggi protagonista assoluto come accompagnamento di tutto il ricchissimo repertorio coreutico isolano, ma diffusosi solo a partire dalla fine del XIX secolo.

Se non la "contaminazione", per lo meno l'evoluzione, nella musica come in molti altri aspetti della vita, è inevitabile.
Ma qui sta il punto. Una cosa è inserire elementi estranei, o comunque nuovi, all'interno di un solido corpo tradizionale, stabile da secoli, il quale ha per così dire le spalle larghe, che gli consentono di sopportare l'urto, ed eventualmente assimilare le novità senza stravolgere se stesso, e altra cosa è l'imposizione "brutale", nonché "repentina", di elementi allogeni, siano essi linguaggi musicali o strumenti, su un tessuto già da tempo minato da un progressivo indebolimento.

E la musica salentina, per l'appunto, ha subìto, per una serie di motivi, una vera e propria rottura della sua tradizione per vari decenni, fino al revival che ha iniziato a manifestarsi con sempre maggior forza nel corso degli anni '90, e che dura tuttora.
In sintesi, se nella serata conclusiva dell'evento musicale dell'anno, come simbolo di una tradizione che sta cercando di ricostituirsi, ancora fragile e insicura, vengono posti la batteria e le sonorità jazz, o rock, si rischia di "contaminare" ciò che già è "contaminato", operando un sostanziale snaturamento della struttura portante di una tradizione.

Naturalmente niente contro batterie, jazz o rock, ci mancherebbe, solo che si deve stare attenti a come vengono usati: se usati a sproposito, un giovane salentino che oggi va al concerto in questione, rischia di non capire niente di quella che era la musica dei suoi avi, e se poi decide di ballare, rischia di rimanere avviluppato in una sorta di "Babele coreutica", con movimenti del tutto improvvisati, a volte un po' sgraziati
Ma in fondo, ai giovani salentini, e ai giovani in genere, interessano tutte queste cose? Questa è la globalizzazione: presente, fra di noi.

Pier Paolo Pasolini, in un passaggio dei suoi "Scritti Corsari", affermava infatti: "Gli uomini dovranno risperimentare il loro passato, dopo averlo superato e dimenticato in una specie di febbre, di frenetica incoscienza".
[Federigo Azzurri]

Indiscussa punta di diamante del “French Touch” d’Oltralpe, gli Air tornano venerdì 9 luglio sulle scene fiorentine per quella che si annuncia una delle date più attese dell’estate. Accompagnato dalla propria band, il duo parigino suonerà nella splendida cornice del Piazzale Michelangelo (nell’ambito della rassegna Michelangiolesca; inizio ore 21,15; ingresso posto unico 25 euro) per la presentazione del nuovo album “Talkie Walkie”: un disco bellissimo, segnato da raffinati minimalismi pop e prodotto da uno dei massimi esperti di art-rock come Nigel Godrich (già artefice dei successi Radiohead).
Nicolas Godin e Jean-Benoit Dunckel, in arte Air, sono nati entrambi a Versailles, in Francia.

Ma è soltanto quando iniziano a frequentare il conservatorio di Parigi che si incontrano. Dunckel ai tempi suona negli Orange, un gruppo indie pop che aveva formato con Alex Gopher. Grazie a Gopher, Dunckel entra per la prima volta in contatto con Godin e, pochi mesi dopo, nasce il progetto Air. Gopher abbandona il gruppo per seguire la carriera da solista, pubblicando nel 1999 l’album d’esordio, “You my baby & I, mentre Godin e Dunckel esordiscono prima con l’etichetta inglese di trip hop Mo’Wax e, successivamente, con la francese Source, pubblicando i singoli “Casanova 70” e “Le soleil est prés de moi”.

Nonostante la Mo’Wax e la Source siano legate in qualche modo alla scena della dance, gli Air sembrano fin dal primo momento volersi discostare dal concetto di musica da ballo. Le influenze degli Air sono infatti artisti come Tomita, Jean-Michel Jarre e Vangelis, maghi dei sintetizzatori e del moog, il loro strumento preferito. Nel 1997, grazie ai primi interessanti singoli e ad un forte supporto da parte dei media inglesi, gli Air iniziano a essere richiesti da molti artisti come Depeche Mode e Neneh Cherry, che li ingaggiano per remixare i loro pezzi.

Poco dopo, sempre per la Source, gli Air scrivono un brano insieme a Jean-Jacques Perrey, conosciuto per aver inventato la cosiddetta “musica concreta”. L’anno successivo, nel 1998, dopo aver firmato un contratto con la major Virgin, il duo pubblica il disco d’esordio, MOON SAFARI. I singoli estratti, "Sexy boy" e "Kelly watch the stars", hanno un buon riscontro sia in Inghilterra che negli Stati Uniti, e gli Air si imbarcano in un tour mondiale in compagnia di Sean Lennon. Nel 2000 esce la colonna sonora del film THE VIRGIN SUICIDES mentre nella primavera del 2001, Nicolas Godin e Jean-Benoit Dunckel pubblicano il terzo album, 10 000HZ LEGEND.

Dopo due anni di silenzio, ed una fugace collaborazione alla stesura della colonna sonora di un lungometraggio di Sophia Coppola, "Lost in translation", i due tornano sulle scene con il disco TALKIE WALKIE, alla realizzazione del quale ha preso parte anche il rinomato produttore Nigel Godrich (Radiohead).

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