Mostra sul Dagherrotipo in Palazzo Vecchio

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
30 maggio 2003 12:30
Mostra sul Dagherrotipo in Palazzo Vecchio

"L'Italia d'Argento. 1839/1859 storia del dagherrotipo in Italia". Dal 30 maggio e fino al 13 luglio, la mostra, compresa anche nel programma di "FirenzEstate", è allestita nella Sala d'Arme di Palazzo Vecchio e poi sarà trasferita a Roma. L'esposizione, promossa dall'assessorato alla cultura ed organizzata dal ministero dei beni e le attività culturali - Istituto Nazionale per la Grafica e dalla Fondazione Fratelli Alinari, è dedicata in particolare agli esordi della fotografia in Italia e presenta alcuni tra i più importanti dagherrotipi realizzati da autori italiani e stranieri presenti all'epoca nel nostro Paese: 120 opere d'arte che comprendono vedute paesaggistiche, riproduzioni e ritratti.

La "dagherrotipia", fu introdotta nel 1839 da Jacques-Louis Mandé Daguerre ed è la prima, in ordine di tempo, tra tutte le tecniche fotografiche utilizzate. Nel gennaio 1839 lo scienziato Arago presentò alla Academie des Sciences di Parigi il procedimento dagherrotipico messo a punto dopo lunghi anni di sperimentazione da Jacques Louis Mandé Daguerre. "L'arte del novecento ci porta a comprendere innovazioni importanti nello sviluppo artistico - ha commentato l'assessore alla cultura Simone Siliani - e attorno al dagherrotipo si crea una frattura del tutto originale che rende la mostra del tutto unica ed originale: le immagini sono dipinte dalla luce.

Sono opere rarissime ed irripetibili perché non esistono negativi. La mostra è il secondo evento realizzato in pochi mesi insieme alla Fondazione dei Fratelli Alinari ed entro la fine dell'anno, inizieranno i lavori di restauro nell'ex Convento delle Leopoldine in piazza Santa Maria Novella per la realizzazione del Museo della Fotografia che sarà un riconoscimento nazionale e arricchirà l'offerta museale e culturale di questa città. È un'opera importante e complessa da portare avanti. Sarà anche un modo per riqualificare la piazza".

Malgrado le prove già sufficienti che Niepce, Bayard e Talbot e molti altri avevano ottenuto con l'azione della luce, nessun processo quanto quello di Daguerre ottenne l'effetto di rivoluzionare il mondo scientifico ed artistico, sebbene a lui propriamente non fosse dovuto tutto il merito dell'invenzione e fosse giusto dare buona parte del successo al Niepce. Lo ioduro d'argento che grazie ai vapori di iodio si otteneva sopra una lastra d'argento o di rame argentato, è sensibile alla luce e sotto l'azione dei vapori di mercurio si colora di nero.

Questo il principio teorico del processo ormai abbandonato e passato alla storia delle grandi scoperte del nostro secolo. Il dagherrotipo è un'immagine positiva diretta e quindi unica, non esistendo il negativo; la sua principale caratteristica è quella di possedere contemporaneamente gli attributi del negativo e del positivo, a seconda dell'incidenza della luce e dell'angolazione in cui viene osservata l'immagine. Poiché la sua superficie era delicatissima e la sottile pellicola di mercurio che formava l'immagine poteva facilmente essere danneggiata e staccarsi dal supporto, il dagherrotipo veniva sigillato sotto vetro in custodie a tenuta d'aria, in modo che anche l'argento non si ossidasse sotto l'azione degli agenti atmosferici.

Simili alle custodie in uso per le miniature, quelle per i dagherrotipi erano in genere molto eleganti e decorative, realizzate in materiali di notevole pregio. Spesso venivano colorati a mano per accentuare nei particolari più minuti e preziosi, come i gioielli, le stoffe degli abiti, la fedeltà al "reale" che consentiva il nuovo mezzo di riproduzione. L'immagine dagherrotipica, ampiamente diffusa nell'uso della ritrattistica più che del paesaggio, dove trovava maggiori difficoltà tecniche, godette di una popolarità vastissima fino al 1860.(mr)

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