"Il fumo favorisce l’osteoporosi" testimonia una imponente ricerca italiana (su 5000 uomini e 10.000 donne) presentata al congresso di Firenze

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
17 novembre 2001 17:33

Le sigarette non provocano solo cancro e infarto. Tra le molte patologie legate al fumo c’è anche l’osteoporosi. Lo dimostra senza più alcuna ombra di dubbio un’imponente ricerca presentata oggi a Firenze, al congresso di osteoporosi maschile, dal professor Giancarlo Isaia, docente di Medicina Interna all’Università di Torino.
Attualmente in fase di pubblicazione, la ricerca ha come titolo Esopo (un acronimo che sta per Epidemiological Study on the Prevalence of Osteoporosi) ed è il frutto di due anni di lavoro durante i quali sono presi in esame i casi di 4.679 uomini tra i 60 e gli 80 anni e di 9950 donne tra i 40 e gli 80.

Due campioni molto vasti, selezionati a caso attraverso gli elenchi dei medici di famiglia.
Condotto con il metodo degli ultrasuoni, il test ha fornito questi risultati. Degli uomini nella fascia di età compresa tra i 60 e i 69 anni il 7,9 per cento è risultato colpito da osteoporosi. Nella fascia d’età superiore (70/79 anni) la quota è invece risultata del 13,3 per cento.
Restringendo l’indagine ai soli fumatori, è stato inoltre accertato che i soggetti normali, ovvero senza alcun sintomo di osteoporosi, fumavano da meno di 2,6 anni; gli osteopenici (ammalati potenziali) da 2,9 anni e gli osteoporotici conclamati da 4,1.
“Queste cifre”, ha spiegato il professor Isaia, “mettono in chiara evidenza il legame stretto tra sigarette e osteoporosi”.
Cifre che trovano una corrispondenza nella ricerca condotta sulle donne.

I casi riscontrati di osteoporosi sono stati: il 4,4 per cento nella fascia tra i 40 e i 49 anni, l’11,7 per cento in quella tra 50 e 59, il 28 per cento tra 60 e 69, il 41 per cento tra i 70 e i 79. Limitandosi alle sole fumatrici dichiarate, è stato accertato che le sane fumavano in media da meno di 2,2 anni, le osteopeniche da 2,6 e le osteoporotiche conclamate da 3,1.

Un lento, ma sensibile calo ormonale dovuto probabilmente a fattori genetici mette a rischio di osteoporosi almeno un terzo dei maschi ultracinquantenni.

Ritenuto fin qui caratteristica delle donne dopo la menopausa, il fenomeno è stato riscontrato da una ricerca condotta per il Dipartimento di Medicina Interna dell’Università di Firenze dall’equipe della professoressa Maria Luisa Brandi, docente di endocrinologia e malattie del metabolismo.
I risultati della ricerca, destinati ad arricchire il bagaglio di conoscenze scientifiche in questo settore finora poco esplorato, sono stati annunciati dal dottor Luigi Gennari oggi a Firenze, nel corso della seconda e ultima giornata del congresso sull’osteoporosi maschile al quale partecipano tutti i maggiori specialisti italiani.
La ricerca è stata condotta in Toscana su un campione di 300 uomini di età superiore ai 50 anni.

“Il dato sorprendente”, ha spiegato Gennari, “è che il 30 per cento di questi soggetti ha rivelato un livello di testosterone, l’ormone maschile prodotto dai testicoli, ai limiti bassi della normalità. In altre parole, anche l’uomo, dopo una certa età, è vittima di un calo ormonale che lo sottopone a un maggior rischio di ammalarsi di osteoporosi. Esattamente come per le donne”.
Perché ciò avvenga non è ancora chiaro. Dalla ricerca emerge tuttavia l’importanza della componente genetica.

Si riscontra in particolare il ruolo di un enzima, chiamato Aromatosi, che trasforma gli androgeni in estrogeni. In alcuni soggetti l’Aromatosi lavora di più, in altri meno, differenze dovute con ogni probabilità a variazioni genetiche.

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