E.Commerce: difficoltà, ritardi e incomprensioni, oppure strategie di successo?

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
20 dicembre 2000 00:38
E.Commerce: difficoltà, ritardi e incomprensioni, oppure strategie di successo?

Riceviamo e volentieri pubblichiamo dal professor Paolo Manzelli, direttore del Laboratorio di ricerca educativa dell’Univeristà di Firenze:
“La trasformazione indotta dagli sviluppi del mercato globale favorisce un impatto delle reti informatiche sulle strategie d'impresa. Il rischio nel quale incorre in particolare la piccola e media impresa (PMI) e’ quello di rimanere esclusa dal mercato telematico. Nel quadro del processo di globalizzazione dei mercati il commercio elettronico comporta notevoli costi di attivazione e gestione sia nell’ambito del Business to Business (BtB).

Quest’ultimo e’ il presupposto di azioni di successo nella Networked Digital Economy, che trovano applicazione nello sviluppo di un sistema di Business to Consumer, (BtC).
Attualmente non ci sono immediati ritorni degli investimenti che alcune PMI hanno attuato nel settore dell’ e.commerci. E’ necessario diffondere chiarezza su quali siano le reali difficolta’ di sviluppo per minimizzare i rischi e diminuire l’incertezza.
Una delle difficolta' che incontriamo nell’ottenere risultati tangibili per lo sviluppo dell'e.commerce per la PMI, risiede nella considerazione che la net economy e' sospinta dalla globalizzazione dei mercati e cioe' da una crescente interdipendenza economica a cui si associa l'utilizzazione delle Information Technologies of Communication (ITC).

L' e.commece crea valore aggiunto crescente, solo quanto si riesce a dare ampiezza all’economia di scala, acquisendo una base di networking di partenariato di impresa sufficientemente elevata. Infatti lo sviluppo dell’e.commerce rischia di erodere il profitto di impresa anziche’ accrescerlo. E’ necessario saper prevedere come l’e commerce possa rendere fallimentare la PMI, anziche’ facilitarne lo sviluppo. Cio’ e’ vero nel caso che non si attuino strategie che conducono a rendimenti crescenti, cosi da compensare le maggiori spese e l’aumentata concorrenzialita’ in merito ad una maggiore ampiezza dei fattori di economia di scala.

Infatti l' ampliamento del mercato delle vendite e del sistema di approvvigionamento delle merci (e-procurement), puo’ generate un superamento del rischio di investimento e conseguentemente uno sviluppo di rendite crescenti per l’impresa.
Va’ inoltre sottolineato che la logistica dei trasporti per la spedizione dei prodotti diviene un fattore partcolarmente critico, nel caso di iniziative di e-commerce di ampia scala con tipologia business-to-consumer (BtC), dal momento che esse richiedono la gestione di un processo di consegna a domicilio, dove “l’ultimo chilometro” rischia di avere costi molto elevati in relazione a quantitativi comunque limitati di merce.

Senza una ottimale gestione della logistica dei trasporti e un sistema di assicurazione delle merci accordato con la maggior sicurezza possibile dei pagamenti on line, il sistema di fiducia “cliente/fornitore” entra in crisi.
Compreso quindi che l’estensione di scala del mercato rende produttivo lo sviluppo del commercio elettronico, e’ ancora necessario capire come nel e.commerce sia in atto un doppio processo di cambiamento che coinvolge sia i modi di organizzazione della produzione che di vendita dei beni.

Il salto di organizzazione del lavoro tra una attivita’ di Mercato Locale tradizionale ed il Mercato Spaziale Elettronico, costringe le persone a lavorare nell’ambito di una simulazione immateriale nella quale cambiano i riferimenti di spazio/tempo della comunicazione interattiva, determinando varie problematiche che coivolgono la sfera delle identita’ cognitive.
Uno dei rischi di NET-FLOP (networking – failure) coincide con le problematiche di impresa che richiedono attivita' di TELELAVORO MANAGERIALE, quando non risulta facile attuare un clima di sinergie temporali nelle relazioni che si sviluppano interattivamente.

Si notano infatti evidenti resistenze al cambiamento dello stare assieme entro un edificio dove si svolge il lavoro consueto. Nel momento che le persone passano da un lavoro di tipo "COLLETTIVO" ad un telelavoro "CONNETTIVO" proprio delle “imprese reticolari”, insorgono problematiche di ordine psichico che creano incertezza ed instabilita’ nelle relazioni di comunicazione, principalmente per il fatto che nella interconnettivita’ on line, si perdono i riferimenti gerarchici i quali tradizionalmente creano un forte elemento di delega.

Lavorare in un sistema vasto di relazioni in rete, da inter-pares, privi della possibilita’ di sperimentate conoscenze reciproche di vicinanza necessita il superamento della consuetudine di riferirsi a deleghe gerarchiche per prendere decisioni. Senza una ristrutturazione di competenze individuali il ricorso al telelavoro di livello manageriale determina nella maggior parte dei casi fenomeni di disorientamento. L'uso delle nuove tecnologie induce problemi di instabilita' e ritardi. Tuttavia l'utilizzo della comunicazione elettronica rappresenta una tendenza ineludibile per la sopravvivenza delle imprese.

Pertanto e’ opportuno sottolineare come sia necessario superare la carenza di una formazione e di organizzazione delle responsabilita’ manageriali nelle imprese in modo che siano adeguate alle necessita’ del tele-lavoro nell’ ambito della nuova dimensione dei mercati , che solo se e’ ben coordinata nelle relazioni interattive a distanza puo’ aprire indubbi vantaggi. Permettendo di lavorare a tempi e spazi non predeterminati e definiti localmente, il tele-lavoro ad elevata qualificazione professionale, crea un ambiente virtuale di ampia flessibilita' spazio/temporale (per un lavoro inter-attivo 24 ore su 24), che ben si addice alla velocita' di cambiamento del sistema di sviluppo contemporaneo.

La flessibilita' del lavoro non puo' essere considerata un valore in se stesso, ma deve essere costantemente verificata come funzionale al progetto di e.commerce ed alle sue finalita' di sviluppo.
Per ovviare a tali problematiche si ricorre ai cosi’ detti Incubatori di Impresa.
L'incubatore di impresa è una struttura di supporto alla fase di avvio o di successiva crescita delle nuove iniziative imprenditoriali il cui intervento si rivela particolarmente utile laddove siano necessari temporanei apporti di capitali e consulenze, cosi’ come lo sono, sia per quel che concerne gli sviluppi della estensione del mercato, che per il formare un management capace di agire nel re-enginering della organizzazione del lavoro di impresa, in modo che il management risulti in possesso di una elevata qualifica professionale.


La logica generale per cui si fa ricorso agli incubatori consegue al fatto che una buona idea progettuale nel settore del e.commerce non assume immediatamente la dimensione di successo spesso per carenza di un management di impresa preparato a questo nuovo compito. Pertanto si ricorre normalmente a stimolarne ed accellerarne la attivita' nelle varie fasi di sviluppo progettuale con azioni congiunte di intervento di capitali e risorse umane delimitate nel tempo e variamente specializzate.

I modelli di incubazione hanno caratteristiche distinitive variabili perche’ vengono studiate caso per caso, ma comunque corrispondono a ben definiti piani di sviluppo dei Business Plan di impresa, in quanto le agenzie di incubazione entrano nell’ affare, in compartecipazione con capitali e consulenze specifiche, assieme all’impresa partner. In ogni caso gli interventi di incubazione sono limitati nel tempo e pertanto il rapporto obiettivi/costi (TASK/COST), viene programmato in base all’analisi di TEMPI//RISULTATI del business plan.

Le agenzie di incubazione dell‘e.commerce possono essere come nuovi intermediari di mercato elettronico, proprio in quanto anziche’ agire in termini di servizi procedono come partner temporanei di impresa, investendo propri capitali di rischio. L'incubatore di impresa puo' essere una struttura di supporto in varie situazioni di sviluppo del ciclo di vita di un progetto, sia nella rispetto alla fase di avvio (start up) o di successiva crescita ( follow up) o di indirizzo appropriato per l’auto-sosteninìbilita' (Exit up) di ogni iniziativa imprenditoriale che si inoltri nel mercato elettronico e comunque intenda agire nell’ambito della Networked Digital Economy.


Gli incubators normalmente si distinguono da altre forme di investimento proprio in quanto il loro investimento di capitale finanziario non supera il 49% del capitale dell’impresa partner, anzi l’inviestimento di capitale generalmente va dal 10% al 30% eccetto casi di soluzioni del tipo “ALL INCLUSIVE”, che riguardano l’intero il ciclo di incubazione. Vanno segnalate altre attivita’ di finaziamento a capitale di rischio quali le CAPITAL VENTURES; quest’ultime si presentano come sviluppatori di idee sulla base di Business Plan ad elevato valore aggiunto, ed investono solo finanziariamente, senza attuare un mix tra capitale e competenze come si e’ accennato nel caso schematicamente descritto nelle precedente tabella relativa alle attivita’ di incubazione del commercio elettronico.


Nella nostra analisi della situazione di sviluppo dell’e.commerce ci siamo resi conto che le strategie che hanno focalizzato l’attenzione su ambizioni borsistiche affidate alla realizzazione di portali per il e.commerce, si sono spesso arenate nella realizzazione di nuovi canali di informazione pubblicitaria e di marketing. A nostro avviso ci sono opinioni da correggere sul commercio elettonico per la PMI: 1) il primo errore consiste nel ritenere che ogni attivita’ di Business in futuro appartenga esclusivamente al mondo della informazione in internet.

Risulta evidente che non e’ sufficiente realizzare un sito WEB, ovvero un portale od un portale specifico (Vortal) per ottenere un profittevole mercato elettronico; 2) il secondo errore consiste nel credere che l’utilizzazione delle ITC per il commercio elettronico corrisponda ad una via semplice per realizzare profitti e che essere presenti nel World Wide Web significhi essere visibili in attivita’ di e.commerce. Troppo spesso la costruzione di portali nel settore del BtB ovvero del BtC, e’ stata utilizzata come “lavagna tecnologica” per attuare un’aggregazione di aziende o di prodotti, ma tali portali hanno solo creato delusioni, allo stesso modo in cui fallirebbe una vetrina ben disegnata ma senza negoziante capace di vendere la merce.

L’attuazione di una strategia che conduca ad una effettiva promozione del commercio elettronico, riteniamo possa essere il risultato non tanto di una disintermediazione del mercato tradizionale tramite la costruzione di Portali, ma delle metodologie di espansione del mercato tradizionale integrate con gli strumenti a disposizione. Si tratta di attuare una strategia che invertendo le priorita’ tra nuove tecnologie e mercato non ambisca a mettere l’informazione tecnologica come una coperta virtuale sul mercato, ma al contrario a mettere il mercato reale in rete telematica interattiva.

Il franchising rappresenta un sistema di espansione del mercato a basso impiego di capitali, basato su una compagine di collaborazione tra una o piu’ imprese inter-dipendenti, nella quale la prima (franchisor ovvero affiliante) concede ad altri (franchisee od affiliati), in cambio di pagamento il proprio know-how commerciale, ovvero il marchio ed altri segni distintivi della propria azienda. Normalmente solo nel caso in cui possano essere generati utili dal fatturato dei franchisee, entro un tempo prestabilito (generalmente un anno), verranno pagate dai franchisee le royalities che rendono remunerativa la concessione di “MARKET-KNOWLEDGE” (conoscenza del Mercato Specifico) ) investita dal franchisor.

Questa antica formula di sviluppo dei mercati, mentre semplifica le attivita di BtB, garantisce anche il fatto che le procedure del B2B per le PMI commerciali o di servizi vengano attivate a bassi costi d’investimento. Adattando la formula del franchising al networking in rete diviene possibile attivare soluzioni di sviluppo dell’e.commerce di tipologia “Multi Trade Mark” e di conseguenza di multi livellofunzionale.
A conclusione di queste riflessioni sugli elementi essenziali di una strategia di mercato nel commercio elettronico riteniamo poter riassumere quanto segue:
a) e’ necessario innanzitutto non confondere il nuovo mercato con gli strumenti tecnologici, sopravvalutando le infrastrutture quali i Portali, i Vortali ecc… e con essi il WEB-Marketing;
b) e’ necessario rendersi conto che le prospettive di compra vendita nel mercato Elettronico sono pressocche’ inutili se il mercato di riferimento ha dimensione unicamente “locale”, in quanto esse assumono valore solo se applicabili ad una dimensione di ordine “trans-nazionale”.

Pertanto per il successo del e.Commerce bisogna saper attivare strategie di BtB che corrispondano a Joint-Ventures tra imprese di differenti paesi, anche al fine di costituire un raggruppamento di imprese, capace di costituirsi (o aderire come partner) ad una agenzia di supporto comune per le per nuove attivita’;
c) e’ necessario infine, organizzare una rete detta normalmente “ SUPPLY CHAIN MANAGEMENT” per ottimizzare la pianificazione delle risorse del gruppo di partners di impresa ed attivare una vincente competitivita’ nel mercato globale utilizzando strategie basate su internet per sviluppare programmi di import (e.Procurement) e di vendite on line (BtC e.commerce ), con la collaborazione di Associazioni dei Produttori e dei Venditori, Camere di Commercio, ed altre associazioni No-Profit , quali Universita’, Enti regionali e Governativi ed Inter-governativi di vari paesi.


La mancanza di una appropriata strategia internazionale di e.commerce limita l’utilizzazione di internet e delle infrastrutture di tele-cominucazione (sia che si tratti di Portali generalisti, od anche Portali specialistici detti Vertical portals o Vortals), e tale limitazione diviene incline a favorire una disintermediazione del mercato locale tradizionale, creando, salvo casi eccezionali (quali le aste on line, o le vendite di prodotti rari o di nicchia ecc…) solo attivita’ di scarso successo a cui si accompagnano forti perdite di lavoro e notevoli elementi di diseconomia complessiva nonche’ fallimenti”.

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