XXI edizione del Festival delle Colline:20 giugno – 30 luglio 2000

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
26 maggio 2000 15:17
XXI edizione del Festival delle Colline:20 giugno – 30 luglio 2000

Passata la boa delle venti edizioni il Festival delle Colline si conferma uno degli appuntamenti musicali più longevi della nostra Regione.
Il Festival è promosso come sempre dal Comune di Poggio a Caiano con la collaborazione della Provincia di Prato, del Centro per l'Arte Contemporanea Luigi Pecci, del Comune di Prato e del Comune di Carmignano.
Fedele nell'intento di rappresentare il continuo mutamento delle musiche del mondo e a scompaginare ogni tipo di routine culturale, quest'anno, oltre a grandi esempi di world music come il concerto di FEMI KUTI, il melting pot musicale dei MACACO e della BANDA IONICA, la geniale musica contemporanea di MICHAEL NYMAN, irrompe nei luoghi e nelle città del Festival una delle più antiche espressioni artistiche popolari, il circo.

Non un circo qualsiasi, ma Il CIRCO BIDONE, un circo "ecologico" che da quindici anni gira l'Europa con carri di legno trainati da robusti cavalli bretoni, un circo autentico e festoso, ricco di tenera poesia, di galline sapienti, di acrobati, di musica, di bambini e giocolieri. Il CIRCO BIDONE sosterà dodici giorni a Prato (dal 18 al 30 luglio, in piazza Mercatale) e cinque giorni a Seano (dal 12 al 15 luglio, presso il Parco del Museo Quinto Martini) tenendo spettacoli in ciascun luogo.
L'appuntamento inaugurale della XXI° edizione del Festival delle Colline è fissato per martedì 20 giugno all'Anfiteatro del Museo Pecci: FEMI KUTI, figlio del grande Fela Kuti scomparso nel 1997, continua ai massimi livelli la diffusione della musica afro-beat.

FEMI KUTI porta nell'afro-beat una ventata di novità tipica della curiosità del mondo giovanile per le innovazioni stilistiche musicali. L'afro-beat di FEMI KUTI trae linfa vitale da tutti gli stili musicali africani con arrangiamenti che risentono dei ritmi metropolitani "occidentali".
Mercoledì 28 giugno serata dedicata al pubblico del Festival delle Colline alla Villa Medicea di Poggio a Caiano: in concerto la BANDAITALIANA di RICCARDO TESI con un repertorio trascinante che spazia dalla tradizione musicale toscana al "bal musette" francese.


Echi reggae, suoni rap, melodie dub condite da percussioni e ritmi flamenchi: mercoledì 5 luglio all'Anfiteatro di Bacchereto è di scena il gruppo emergente spagnolo dei MACACO che, grazie alla produzione di Toscana Musiche, incontra la BANDA IONICA, ovvero l'esplosiva personalità del trombettista ROY PACI, siciliano, già fulcro della band di Manu Chao. Un progetto davvero originale.
Lunedì 10 luglio è ospite del Festival uno dei più importanti compositori contemporanei: nella splendida cornice della Villa Medicea di Poggio a Caiano, il concerto di MICHAEL NYMAN rappresenterà l'evento clou della manifestazione.

Compositore inglese di fama internazionale, NYMAN ha coniato nel 1968 l'espressione minimalismo accomunata al lavoro di Philippe Glass.
NYMAN è conosciuto dal grande pubblico per le colonne sonore dei film di Peter Greenaway e più recentemente per le musiche di Lezioni di Piano di Jane Campion. Il suo song-book è stato uno dei più interessanti degli ultimi anni, ricco di echi pop, ma anche di omaggi allo sperimentalismo inglese.
FEMI ANIKULAPO KUTI
Allevato da suo padre Fela, scomparso nel 1997, FEMI garantisce la continuità con un nuovo album che unisce il rigore dell'afro-beat al vigore compatto di accompagnamenti molto attuali.

Come perpetuare l'opera di un eroe della musica popolare? Questa domanda fatta a molti figli di star scomparse, sia Julian o Sean – figli di John Lennon – sia Dweezii – figlio di Frank Zappa – sia Ziggy – figlio di Bob Marley. Tutti l'hanno risolto a modo loro, gettandosi nella mischia dello show-business con un certo coraggio, ma anche con dei vantaggi certi. FEMI ANIKULAPO KUTI è figlio di un africano ma si confronta con le stesse problematiche: "A causa della personalità di mio padre, ho avuto molti problemi ad uscire dalla sua ombra.

Non è facile venire dopo un tipo come lui. Ma con il mio nuovo album metterò tutti, e specialmente in Nigeria, in quella che chiamo "la condizione permanente di tacere". Nato a Londra nel 1962, FEMI è cresciuto a Lagos in un universo carico di musica, allevato da sua madre, Remi, separata da Fela. All'età di 15 anni va a vivere con suo padre, al colmo di uno dei suoi periodi più creativi dal punto di vista musicale e più agitati dal punto di vista politico. L'artista visionario che ha appena rivoluzionato il suono africano bandisce il suo celebre slogan: "la musica è l'arma del futuro".

Ha fatto della sua piccola casa, chiamata Kalakuta, una "repubblica" e, da un uomo libero, denuncia sistematicamente gli abusi della giunta militare che dirige la Nigeria. FEMI è testimone delle gravi conseguenze derivanti dall'atteggiamento intransigente di suo padre: persecuzione da parte della polizia, attacchi militari contro i beni del cantante… La carriera di FEMI resta un affare di famiglia, come quella dei figli di Marley, poiché due sue sorelle, Yemi e Sola, lo accompagnano. Insieme vogliono abolire le frontiere estetiche tra i continenti.

"Ho sempre cercato di fare una musica che piaccia al pubblico europeo" - spiega FEMI – "Feli componeva pezzi che duravano mezz'ora, io cerco di essere conciso: otto minuti al massimo, senza perdere l'energia…". Il suo nuovo album lo testimonia: "E' un disco piuttosto fun, che presenta un mio aspetto abbastanza sconosciuto" prosegue FEMI. Registrato nel luglio 1997, non riflette il periodo terribile attraversato con la morte di io padre i, due agosto del '97, quella di mio cugino del 26 agosto, e della mia sorellina Sola il 9 ottobre…".

Dopo questi avvenimento dolorosi, FEMI si è ripreso. Sua moglie, Fenke, sostituisce Sola accanto a Yeni e la Positive Force si esibisce tutte le domeniche allo Shrine ("Il Tmepio"), club leggendario fondato da Fela. Ma fino a quando? "Il terreno sul quale è costruito lo Shrine non apparteneva a mio padre, e vogliono sloggiarci – spiega FEMI. E' in corso un processo e sono pronto a risponderne, perché penso che dobbiamo preservare questo spazio". Scommettiamo che l'eredità di FEMI, il suo approccio ottimista alla vita ed il sostegno di un largo pubblico, che lo riconosce oggi come depositario del genio di Fela, l'aiuteranno a superare queste nuove prove ed a segnare con la impronta il nuovo suono dell'afro-beat?
Essere figli d'arte a volte aiuta, soprattutto agli inizi della carriera, quando il solo farsi conoscere e' un successo.

Ma quando l'eredita' e' cosi' immensa per valori artistici e musicali, nonché politici e sociali, come quella che il maestro indiscusso dell'afro-beat, Fela Kuti, ha lasciato al figlio Femi, allora puo' accadere di rimanerne inghiottiti perdendo la propria identità. Fortunatamente non e' stato così. Femi Kuti ha sempre avuto una propria personalità, fin da quando nell'87 ha lasciato il gruppo del padre, gli Egypt 80, per formare i Positive Force che lo accompagnano ancora oggi. "Shoki Shoki" il quarto album della sua carriera, dimostra come con accorta intelligenza, ha fatto suoi gli insegnamenti del padre e come la sua interpretazione dell'afro-beat abbia dei connotati propri ed originali.

Il funky, il soul ed il jazz sono, come lo sono stati per Fela, la linfa vitale per le sua musica ( "Vicyims of life", "Blackman Know yourself", "Eregele") ma a questi vanno aggiunti una straordinaria freschezza e vitalita' delle composizioni ed una particolare attenzione per i suoni più moderni e dance ("Beng beng beng", "What will tomorrow bring"). Con questo nuovo album Femi Kuti conferma di essere il degno depositario della grande tradizione musicale afro ma anche musicista teso a nuove prospettive ed aperto a nuove influenze.
RICCARDO TESI
Riccardo Tesi è da tempo un'autorità all'interno degli ampi confini della world musica.

Il suo percorso musicale è la storia di un lungo viaggio iniziato con la cantante toscana Caterina Bueno, proseguito con la musica innovativa dei Ritmia, trio di organetti con J. Kirkpatick e J. Junkera, il sodalizio con il mandolinista occitano P. Vaillant, la musica sarda di E. Ledda & Sonos, fino all'incontro con i musicisti di altre aree stilistiche: dal jazz di G. Trovesi e G. Mirassi, all'etnojazz partenopeo di D. Sepe, alla grande canzone d'autore di F. De Andrè, I. Fossati, O. Vanoni e G.

Testa. Dopo vent'anni d'intenso e proficuo peregrinare, Tesi è stato oggetto di una sorta di richiamo da parte della sua terra d'origine, la Toscana, ed ha riunito intorno a sé alcuni dei musicisti di punta della scena folk e jazz. Nasce così il progetto Banditaliana con Maurizio Geri, funambolico chitarrista e cantante del quale in molti hanno apprezzato l'album Manouche e Dintorni, elegante omaggio allo swing di D. Reinhardt; Claudio Carboni sassofonista dotato di un fraseggio secco e precisio, cresciuto nella migliore tradizione del liscio; Ettore Bonafè alle percussioni ed al vibrafono, a proprio agio con i ritmi etnici e con l'improvvisazione jazz, capace di passare con disinvoltura dalle collaborazioni con il cantautore Sergio Caputo a quelle con i musicisti indiani ed africani.

Il caleidoscopio di suoni che scaturisce da Banditaliana produce una musica di grande forza timbrica e compositiva, una sintesi di ampio respiro tra forme e riti della tradizione toscana, misti a sonorità jazz, echi di liscio e musica contemporanea. Riccardo Tesi: organetto diatonico Maurizio Geri: chitarra voce Claudio Carboni: sax Ettore Bonafè: percussioni, vibrafono
MACACO & BANDA IONICA
Questa stagione musciale verrà ricordata sicuramente per la consacrazione del genere Patchanca, per definizione frullatore degli stili musicali più disparati metabolizzati per essere rielaborati con una altissima carica di energia sonora.

Dal caso Manu Chao diventato fenomeno da classifica al P18, al gruppo che ci ha più intrigati dal punto di vista musicale, i Macaco, che con l'album Mono En El Ojo Del Tigre si sono fatti apprezzare in tutta Europa. La capacità del loro leader di attraversare tutti gli stili musicali con collaborazioni che vanno dal flamenco all'heavy metal, ci ha permesso di fare una proposta improbabile in altre situazioni: affiancare ad i Macaco una Banda specializzata in marce funebri della tradizione musicale dell'Italia Meridionale: ensemble proveniente da Catania.

Lu musiche, che di funereo hanno ben poco, vengono eseguite in occasione di processioni religiose, con la funzione di nutrire e proteggere gli animi delle folle, riempiendo i vuoti e coprendo i rumori.
La banda ionica è un ensemble di venti giovani musicisti siciliani, formatisi tra le aule dei conservatori e le strade dei paesi percorse sulle note della banda, cresciuti nella consapevolezza che musica è festa e nello stesso tempo profonda spiritualità. Il gruppo è nato nel 1997 su spinta e ispirazione di Fabio Barovero, fondatore del gruppo torinese Mau Mau, fisarmonicista e compositore.

Affascinato dalle musiche che accompagnano, nel Sud d'Italia, le celebrazioni della Settimana Santa, Barovero ha scoperto in quelle musiche le marce funebri composte, fra la fine del 1800 ed i primi anni del '900, da autori importanti e sconosciuti come Petrella o Vella, e che vivono nel nostro tempo dedicate alla celebrazione della passione. La Banda Ionica ha registrato così, nel dicembre del 1997, il suo primo album, Passione. Le musiche eseguite sono le marce funebri oggi adottate dalle bande municipali soprattutto in Campania, Calabria e Sicilia.

Queste musiche non vengono più eseguire durante i funerali, ma sono l'accompagnamento indispensabile per le solenni processioni cattoliche della Pasqua che si snodano per le vie dei piccoli paesi o delle grandi città del Sud. Il disco è stato recensito e apprezzato dalle riviste specializzate più importanti d'Italia e in Europa, e si presenta in molti sensi un "caso" nel panorama discografico italiano. Il gruppo si prepara, per l'estate del 2000, ad esibirsi dal vivo. Nel 1999 alcuni brani tratti dal disco Passione di Banda Ionica sono stati inseriti nelle colonne sonore dei film "La Ragazza sul Ponte" di Patrice Leconte e "Liberate i Pesci" di Cristina Comencini.

Sono le prime luci dell'alba. Tra pochi minuti dal Monte Abbazia di San Michele Arcangelo comincerà lenta e solenne la processione dei Misteri. Alle prime note della banda una incontrollabile emozione riga di lacrime i volti di migliaia di fedeli, accalcati nelle piazze e nelle strade. Non sono solo pianti di dolore e di cordoglio per la Passione di Cristo, ma angosce accumulate, nodi ed ansie che si sciolgono anche per chi devoto non è. Il corteo processionale durerà almeno quattro ore lungo stradine e strettoie del paese.

L'accompagnamento, soprattutto l'effetto creato dalla musica della banda sarà indispensabile per abbandonarsi al viaggio, per non sentire la fatica, per vivere la morte come un mistero positivo. Ognuno può mettere in mpstra le proprie lacrimen, scaricando la tensione, eliminare il malessere, trarne beneficio. La morte, se pur presente in ogni sguardo, movimento o immagine delle statue raffiguranti la Pietà o la Madonna dell'Addolorata, è accolta e rigenerata. Nel giorno della festa la musica della banda riempie i vuoti, copre i rumori, nutre e protegge gli animi della folla.

Direttori: Roy Paci, Rosario Patania Clarinetti: Gianfranco Rafalà, Giuseppe Giuliano, Sebastiani Tuccitto, Giuseppe La Rosa. Flauto: Sebastiano Emanuele Sax: Mauro Coco, Salvatore Tempio, Salvatore Salvia. Trombe e Filicorno soprano: Roy Paci, Giovanni Nicolosi, Gaetano Ramacci, Mario Basile. Filicorno e Trombone: Salvatore Di Stefano, Rosario Patania Corno: Sebastiano Bell'Arte, Carlo Auteri. Tuba: Roberto Rapisarda. Tamburo, cassa e piatti: Davide Maiore, Antonio Musumeci.
Echi di reggae, rap, melodie dub, percussioni incalzanti.

La realtà e l'ironia si fondono. Il porto del suono, il reggae di Veraverboom, chiamatelo come volete, Macaco viene da là. Macaco è il nuovo fenomeno della musica spagnola. Le canzoni dei Macaco sono ascoltate ovunque: nelle discoteche, per le strade, nei bar… I Macaco sono balzati all'attenzione del grande pubblico con il recente album El Mono en el Ojo del Tigre, contenente tra l'altro le hit Gacho el Pelon e Tio Pedrito. Alla realizzazione del disco hanno collaborato Amparo e Muneco di Amparanoia, Mucho Muchacho di 7 Notas 7 Colores, Roberto Trujillo dei Sucidial Tendecies e Ozzy Osborno, Joan Desmibìnguets, Juanlu e Carlos di Ojos de Brujo, La Banda del Zoco… Il gruppo spagnolo ha suonato recentemente per le strade di Sanremo (in occasione dell'ultimo Festival) e a Milano, in un concerto che non verrà facilmente dimenticato: sul palco di un Rolling Stones completamente esaurito, la ciurma spagnola ha dimostrato di essere una realtà di primo piano di quel fenomeno ormai inarrestabile che è l'alterlatino, filone musicale capitanato da Manu Chao.
MICHAEL NYMAN
Quando Michael Nyman pubblicò il suo Experimental Music: John Cage and Beyond (Musica Sperimentale: John cage ed oltre – 1974 – ristampato nel 1999), difficilmente avrebbe potuto prevedere quale sarebbe stato il suo personale contributo a quell'Oltre.

Stanco dell'ortodossia allora dominante nel modernismo internazionale, Nyman aveva abbandonato la composizione nel 1964, preferendo lavorare come musicologo, occupandosi di edizioni di Purcel e Haendel, e raccogliendo musiche folkloristiche in Romania. In seguito aveva scritto recensioni per diversi giornali, incluso The Spectator, dalle cui pagine, in una recensione del 1968 del The Great Digest di Cornelius Cardew, divenne il primo ad applicare la parola "minimalismo" alla musica. Quello stesso anno, un programma della BBC su Come Out di Steve Reich aprì le sue orecchie a nuove ed ulteriori possibilità, e cominciò così ad emergere un ritorno verso la composizione.

Nel 1968 scrisse un libretto per la "pastorale drammatica" di Harrison Birtwistle Down by the Greenworld Side. Qualche tempo dopo, Birtwistle, nel frattempo divenuto direttore del National Theatre di Londra, gli commissionò gli arrangiamenti di canzoni veneziane del '700 per una produzione, nel 1976, de Il Campiello di Carlo Goldoni, per la quale Nyman mise assieme quello che avrebbe descritto "la più rumorosa band non " che gli riuscisse ad immaginare: ribecche, tromboni e cannamelle con banjo, grancassa e sassofono soprano.

Nyman tenne unita la Campiello Band anche dopo la fine delle recite della produzione, aggiungendo all'insieme il suo personale e propulsivo modo di suonare il pianoforte. Una band ha bisogno di un repertorio, e Nyman si impegnò a fornirlo, cominciando con In Re Don Giovanni, particolare esecuzione di 16 battute di Mozart. La formazione della band cambiò, fu aggiunta l'amplificazione ed il nome variato in Mychal Nyman band. Questo è il laboratorio in cui Nyman ha elaborato il suo stile compositivo attorno a forti melodie, a ritmi flessibili ed insieme rigidi, e ad un modo di suonare in gruppo precisamente articolato.

Anche se i lavoro per la Michael Nyman Band hanno dominato la sua produzione, il compositore ha comunque scritto per una varietà di formazioni, compresi orchestra sinfonica, coro a cappella e quartetto d'archi. Ha scritto diverse opere per il palcoscenico, in particolare The Man Who Mistook His Wife for a Hat (1986), ispirato allo studio di un caso da parte di Oliver Sacks; ed ha composto musiche per coreografi noti quali Siobhan Davies, Shobana Jayasinght, Lucinda Childs, Karine Saporta e Stephen Petronio.

La sua musica ha raggiunto il grande pubblico per mezzo delle sue colonne sonore, tra cui le più famose sono quelle per Peter Greenway, con il quale ha collaborato per undici film tra il 1976 ed il 1991. Altri registi con sui ha lavorato sono Jane Campion (The Piano, 1992), Voker Schlondorf (The 'ogre, 1996), Neil Jordan (The End of the Affair, 1999) e Michael Winterbottom (Wonderland, 1999). Ha collaborato con Damon Albarn alla musica per il film di Antonia Bird Ravenous (1998). Nyman ha fornito la musica per una sfilata di moda (Yamamoto Perpetuo per lo stilista Yohji Yamamoto, 1993), per l'inaugurazione di un tratto ferroviario ad alta velocità (MGV, 1993) e per un gioco al computer (Enemy Zero, 1996).

Questa acuta sensibilità è arricchita da un talento, che egli condivide con i compositori barocchi, per la ripresa e lo sviluppo di temi di precedente ispirazione: il Concerto for Harpischor and Strings del 1995 sviluppa idee precedentemente incontrate in The Convertibility of Lute Strings e in Tango for Tim: Third String Quartet è già latente dietro la partitura del film Carrington di Christopher Hampton. L'evento musicale e multi-video The Commissar Vanishes, basato sul libro di David King sulla manipolazione stalinista di documenti fotografici, è stato eseguito per la prima volta a Londra nel dicembre 1999, e l'opera Facing Goya, sarà presentata in prima assoluta in Spagna nell'agosto 2000.

Ora Nyman sta lavorando a The Only Witness, opera basata su uno studio neurologico di un pittore affetto dalla sindrome di Tourette e con un libretto di Christopher Rawlence (come per The Man Who Mistook his Wife for a Hat). Personalità aperta alle condizioni, contraddistinta da un vivace senso dello humor, una immaginazione colta ed una istintiva abilità a catturare l'interesse di tipi di pubblico estremamente colta ed una istintiva abilità a catturare l'interesse di tipi di pubblico estremamente diversi.

Mychale Nyman rappresenta un modo nuovo di essere musicista, compositore e uomo del nostro tempo.
CIRCO BIDON
Sembra un paradosso alla fine del secondo millennio, in un'epoca sempre più proiettata verso la sfrenata ricerca tecnologica e la computerizzazione di tutto quello che ci sta attorno, che possa ancora esistere una carovana di saltimbanchi trainati da cavalli che percorre in lungo e largo l'Europa. Così se oggi si naviga su Internet da un capo all'altro del mondo in una piccola frazione di secondo, il Circo Bidon impiega cinque giorni per percorrere una distanza di 100 chilometri.

Quando ti imbatti in questa serie di carrozzoni trainati da cavalli in mezzo al caos del traffico cittadino ti sembra che il tempo si sia fermato. Tutto questo accade non per snobbismo o per attirare l'attenzione con una banale mezzo pubblicitario, ma per una sincera scelta di vita. "Facevo il cesellatore di bronzo a Parigi, una professione che mi piaceva anche, ma quando è arrivato il Sessantotto ho capito che la mia vita non poteva essere questa! – sottolinea François, ideatore e gran maestro del Circo Bidon – mi sono detto: basta vivere e lavorare nella caotica Parigi, basta prendere la metropolitana tutte le mattine, rispettare gli appuntamenti, gli orari, facciamo qualcosa di più divertente! Ho venduto tutto quello che avevo, ho comprato un cavallo, costruito un carrozzone: E ho iniziato, con alcuni amici, a girare le piccole piazze della Francia.

Ma non eravamo esperti (nessuno di noi proveniva dal circo), né sapevamo fare esercizi acrobatici: allora per non fregare il pubblico abbiamo deciso di chiamarci Circo Bidon. Piano piano abbiamo imparato le tecniche, gli esercizi e i ritmi dello spettacolo di piazza. La piazza e il pubblico sono le migliori palestre per un artista. In oltre vent'anni abbiamo girato in lungo e in largo la Francia, e ora l'Italia, prima con un carrozzone, poi con due, tre, quattro, aumentando proporzionalmente anche il numero dei cavalli.

C'è stato un momento che ne avevamo anche venti. Il costante e continuo contatto con la gente è quello che mi fa amare questa professione. Viaggiare di paese in paese con i nostri ritmi e divertire ogni giorno grandi e piccini mi fa dormire sonni tranquilli fuori dai mass media, fuori dalle ossessive scadenze imposte da orologi, dalle agende, dai calendari, dagli orari fissi e dai ritmi ipertesi dell'esperienza contemporanea. Finché sarà così l'avventura continuerà!" Il magico mondo della pista! "Il circo non vende e non promette alcuna meraviglia utile.

vero miracolo è l'accadimento stesso del prodigio. Il circo non migliora la vita futura, non guarisce; assicura invece un tutto presente, il cui piacere è nell'ammirazione pura della esibizione, della bravura tecnica che la permette e del rischio che è compagno". Quando si entra nel magico cerchio dove il Circo Bidon esalta i suoi virtuosismi, bisogna fare piazza pulita della televisione, della radio e del cinema, che hanno standardizzato la nostra memoria collettiva. Bisogna fare ritorno al nostro universo culturale perduto.

Quando in una piazza o in un parco ci si imbatte in una carovana colorata che circonda una pista senza chapiteau: questo è il Circo Bidon! Ma gli abitanti del paese o della città dove il circo si è fermato se ne accorgono immediatamente perché, memori dei saggi e ormai desueti mezzi dei vecchi imbonitori, gli artisti del Circo Bidon danno un assaggio delle loro proverbiali doti atletiche e comiche, organizzando due o tre giri per le strade principali della città a suon di gran casse. Questa sera grande spettacolo Appena scendono le luci della sera gli artisti del Circo Bidon si preparano per scendere nella pista.

Momenti poetici, momenti comici e momenti tragici si alternano nel magico cerchio. E' François che le danze: con la sua faccia colorata da simpatico clown introduce i numeri di un abile e poetico funambolo, di uno strampalato domatore di galline e di una simpatica scimmietta che trasporta i volatili in bicicletta sul filo. Vi sembrerà strano, ma al Circo Bidon può accadere anche questo! Così l'eterogeneità dei numeri, che hanno in comune solo la profonda impressione di meraviglia e fascino, fa perdere ogni speranza di orientamento allo spettatore.

E' questa la magia del Circo Bidon. Ma l'abilità di François e compagni sta soprattutto nel trasformare l'intervallo in un ulteriore spettacolo. E' infatti all'apice della suspense, prodotta dai virtuosismi al trapezio di due valenti acrobati, che termina la prima parte dell'esibizione. Lo spettatore non fa in tempo a riprendersi dall'emozione che subito inizia una grottesca riffa, dove i nostri artisti propinano al pubblico i gadget più strampalati . E' qui che si vede la loro bravura, perché al Circo Bidon non si paga il biglietto.

I nostri saltimbanchi infatti devono esaltare al massimo la loro qualità di imbonitori, per convincere il pubblico in primo luogo a restare incollato alle panche, poi ad acquistare i loro prodotti, infine a premiarli con una benevola offerta. Poi lo spettacolo continua alternando altri simpatici ed emozionanti numeri fino al tableau finale del concerto di fuochi d'artificio. Una chiusura giusta ed appropriata. Nei fuochi artificiali possiamo infatti leggere, al di là dell'ovvio significato spettacolare, anche una valenza semantica più profonda.

Nel "fuoco", gli antichi, oltre a decifrare la ventura, vedevano il fondersi di due elementi propiziatori. Il valore purificatorio e vitale del fuoco e l'idea che, insieme con quello che si brucia, si consumi il vecchio e venga estirpato tutto ciò che di male e di inerte si era fino a quel momento accumulato. In finale simbolico che avvince gli spettatori agli artisti e li coinvolge nel magico cerchio, dove ogni sera si consuma il felice rito. Emilio Vita (membro commissione nazionale circhi e spettacoli viaggianti.

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