13 novembre 2015: horreur et abomination

La terreur a frappé Paris
di Guy Beauthaville

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
14 novembre 2015 16:13
13 novembre 2015: horreur et abomination

MONTPELLIER- Per la prima volta in 70 anni, la Francia vive da ieri sera in stato di guerra. La barbarie ha colpito cieca e noi siamo in allerta, in condizione di vera paura.

Questi attacchi sono stati organizzati con un programma annunciato. Sono la manifestazione di una malattia di cui dobbiamo ricostruire le origini, non per cercarci in difetto, ma per comprenderne le cause profonde. Per evitare che torni ad accade, per fare sì che non si diffonda nello spirito di menti fragili. E' da decenni che si temeva che le periferie potessero esplodere: il fallimento dei progetti di integrazione delle popolazioni immigrate, nei ghetti urbani, l'insuccesso, o la mancanza di sostegno scolastico adeguato, la disoccupazione e la discriminazione sono i numerosi fermenti che hanno favorito l'emergere del fanatismo.

Al di là del dolore, al di là della resilienza, due atteggiamenti sono essenziali: evitare l'isolazionismo e agire alla radice del male. Il rischio della "reazione" all'evento sta guadagnando terreno ed è alimentato da correnti nazionaliste e populiste divenute più forti. Quindi non inganniamo noi stessi: durante la seconda guerra mondiale, i nostri nonni hanno dovuto combattere per colpa dei "crucchi", o dei nazisti? Non tutti i tedeschi erano colpevoli di barbarie organizzata (andate a vedervi "Il figlio di Saul”, il film di László Nemes).

Oggi il pericolo dell'isolazionismo è grande. Rischiamo di fare etnocentrismo, ripiegandoci nella nostra comunità di casa e finendo per "vedere il mondo e la sua diversità attraverso un prisma speciale e più, o meno, idee esclusive, interessi e archetipi della nostra comunità di casa, senza occhi critici su di essa", per citare il “Dictionnaire historique et critique du racisme” di Pierre-André Taguieff. E non sono l'Islam, o i musulmani, il nemico da combattere: piuttosto dobbiamo cercare di riconquistare la solidarietà comunitaria.

Dobbiamo essere consapevoli che siamo membri di una comunità che va al di là dei legami di sangue, le radici delle nostre origini, i confini del nostro paese. Essere consapevoli del fatto che la ricchezza della nostra cultura è il risultato della diversità di esseri umani, che abbiamo saputo accogliere in passato.

Non aspettiamo di ripetere gli stessi errori, con il pretesto che nulla può essere fatto al nostro livello: agiamo invece alle radici del male e sui sintomi che ne derivano. E infine, citando a Gandhi: "Siate voi stessi il cambiamento che volete vedere nel mondo".

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